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IN VESPA | Peloponneso, Giorno 2

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© Luca Occhilupo

Quando arrivi a Patrasso in un bar che ispira relax nonostante i treni che sferragliano a 2 metri dai tavolini e fanno vibrare i bicchieri, e una volta seduto noti che ci sono 3 greche che si incuriosiscono alla tua vista, quando poi le squadri e ti accorgi che sono una più fica dell’altra, ecco, una volta sbarcato a Patrasso e vedendo tutto questo, capisci che la giornata non può che andare bene. E così è, nonostante il freno anteriore da aggiustare.

Quando sbagli volontariamente strada e vai a finire su una litoranea a ridosso del mare, le cui onde, sbattendo su quei 20 cm di cemento che dividono la terraferma dall’acqua, ti arrivano addosso e tu, fortunato, ci passi proprio sotto, come succede ai surfisti americani che prendono perfettamente l’onda e si incuneano nel cunicolo formato da quest’ultima, uscendo illesi e quasi asciutti, quando ti arriva qualche schizzo in faccia e sulle gambe nude, non puoi che sorridere e ringraziare iddio di aver voluto lasciare la via conosciuta per andare lì dove la strada termina con una panchina, fradicia, e niente più.
© Luca Occhilupo

Quando scorgi da lontano un laghetto e lo vuoi ammirare più da vicino e poi decidi di continuare a costeggiarlo e vedi un sentiero di sabbia che taglia in due un monte e decidi, nonostante tutti i bagagli e il freno anteriore rotto, di prendere quella strada che chissà dove porta; ecco, quando alla fine quella strada, dopo mille buche che hanno messo a dura prova gli ammortizzatori, porta ad una spiaggetta incontaminata e paradisiaca con un baretto da niente per servire i pochi greci che conoscono quel luogo, ringrazi iddio di aver scelto la curiosità piuttosto che la certezza.

E hai fatto bene, infine, ad andare sul Kastro, dove due tedeschi di origine greca ti hanno parlato delle loro vespe lasciate in Germania e ti hanno rivelato che poco prima di vedere la tua PX sommersa di bagagli, si erano detti scherzando che un giorno le avrebbero dovute portare ad Ancona e arrivarci in Grecia, con quelle vespe.
© Luca Occhilupo

Infine Olimpia, con quello che domani porterà.


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ALLESTIMENTO | Gran Ballo Viennese alla Casa dell'Architettura. Roma

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Una fiaba che non mente non rivela alcuna verità e questa sarebbe la sua imperdonabilemenzogna. (Aldo Busi)
Allestimento della sala per il "Gran Ballo Viennese". © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.
Fiori viola e arancio e ciocchi di legno dorati, calati dal soffitto della grande sala centrale sui tavoli imbanditi. Un maxi schermo con le più belle immagini di Vienna sullo sfondo e altri tavoli in galleria. Poltrone bianche all'ingresso, un rigorosissimo red carpet e l'essenziale urna per la raccolta delle offerte destinate alla Croce Rossa Italiana.
Allestimento della sala per il "Gran Ballo Viennese". © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.
Un singolare e principesco allestimento per il salone dell'Acquario Romano in una giornata, paradossalmente, contestatrice.
"Gran Ballo Viennese". © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.
Trentasei giovani "Cenerentole", al fianco dei cadetti della Guardia di Finanza, hanno realizzato il loro sogno o quello delle loro madri, "debuttando" in società e indossando elegantissimi abiti bianchi disegnati in esclusiva da Elvia Venosa, organizzatrice del Gran Ballo Viennese, che ha sposato, lo scorso 19 ottobre, la capitale Italiana per il settimo anno.
"Gran Ballo Viennese". © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.
La serata di gala è inoltre un momento di gran solidarietà. Come negli  anni precedenti, il ricavato dei biglietti è stato devoluto a sostegno di un ente benefico. Quest'anno la vera protagonista è stata la Croce Rossa Italiana, per la realizzazione della "Casa di CRI", un progetto per raccogliere, a Roma, le famiglie dei bambini affetti da gravi patologie che richiedono assistenza sanitaria.
"Gran Ballo Viennese". © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.
Ospiti illustri e rappresentanti dell'antica e nobile tradizione asburgica: L'Arciduca Markus d'Amburgo Lorena -pronipote dell'indimenticabile Principessa Sissi- con il suo italiano maccheronico e il Professor Thomas Schafer Elmayer,  direttore  della  più  nota  scuola  di  Valzer  Viennese,  accompagnato  dalla celebre Walz Formation.
 Walz Formation al "Gran Ballo Viennese". © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.
Subito dopo la cena hanno fatto il loro ingresso le giovani coppie che sulle note di Strauss, hanno portato un po' del Wiener Opernball a Roma. La serata presentata da Samantha De Grenet, principalmente danzante, ha visto anche un meraviglioso passo a due -accompagnato da "Caruso" di Lucio Dalla, cantata da Matteo Setti- dei due ballerini Giorgia La Chance e Mattia Politi, realizzato da Steave La Chance, coreografo di fama internazionale e Direttore Artistico de "La Chance Ballet".
Giorgia La Chance e Mattia Politi al "Gran Ballo Viennese". © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.
Lo stesso Matteo Setti, a cui è stato assegnato il prestigioso "Premio Vindobona", ha incantato i circa cinquecento ospiti, cantando "Gringoire", pezzo del celebre musical "Notre Dame de Paris" di Riccardo Cocciante, in cui ha interpretato Gringoire. 
E questo è il tempo delle cattedrali.
La pietra si fa Statua,
musica e poesia.
E tutto sale su verso le stelle.
Su mura e vetrate
La scrittura è architettura...
La Casa dell'Architettura è stato il luogo più adatto, a Roma, per accogliere questi versi.
Matteo Setti al "Gran Ballo Viennese". © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.
Dopo il passaggio della corona a Benedetta Loro che col suo cadetto Carmine Guerriero rappresenterà l'Italia al celebre Opernball di Vienna, la festa è proseguita fino a notte fonda con le musiche eseguite da Alberto Laurenti& i Rumba de Mar.
 "Gran Ballo Viennese". © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.


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WHO ARE YOU | Rosaria Privitera, espressione dell’anima

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Catanese. Innamorata della sua città e della sua Sicilia.
Loquace quanto basta, non ama parlare di se stessa... Per scelta si è completamente dedicata alla famiglia, ai figli. L’amore per la fotografia lo ha ereditato dal papà. Da piccola fotografava il mare. Oggi i suoi soggetti preferiti sono i tramonti, l’alba, il paesaggio. La sua terra. Ci sono anche i volti delle persone, però non devono mettersi in posa. Usa una Canon. Come tempo si prende quello necessario. Quando non usa la macchina fotografica si dedica alla cucina, ai suoi blog, alle lunghe camminate, alla corsa, la lettura, i lavori a maglia.
L'intervista di oggi per la rubrica Who are youè dedicata a Rosaria Privitera. Buona lettura.
© Rosaria Privitera
• La prima cosa a cui pensi appena sveglia?
Oggi è un giorno nuovo, una vita nuova.

• Di cosa hai una scorta?
Una scorta? Scorta di libri, di penne, di pietre.

• Una parola o un'espressione che ami? E una che odi?
La parola che amo è "gioia", quella che detesto è "invidia".
© Rosaria Privitera
• Di cosa hai bisogno per essere felice?
Della mia famiglia.

• In questo mondo le persone si dividono in?
Buone e cattive.

• Un politico, una popstar o un artista che ammiri particolarmente per vari motivi?
Mi piaceva Andreotti, come artista mi piace Renato Zero, da bambina mi piaceva Domenico Modugno, somigliava al mio papà.
© Rosaria Privitera
• Il luogo più importante di casa tua?
La mia casa è piccola, è tutta importante.

• Tre posti dove dove non sei mai stato e che vorresti vedere?
Mi piacerebbe vedere l’Africa, l’India, l’America latina.

• Pensando all'Italia, qual è la prima cosa che ti viene in mente?
Povera italia!
© Rosaria Privitera
• Quale città d'Italia ti attrae per il suo ambiente creativo?
Torino.

• Cosa volevi fare a 14 anni?
L’archeologa.

• Cosa non indosseresti mai?
La minigonna.
© Rosaria Privitera
• Che cos'è per te la creatività?
Espressione dell’anima.

• Da cosa trai ispirazione per i tuoi progetti?
Dalla natura.

• Che definizione hai per la fotografia?
La fotografia esprime qualcosa di te, parla della tua anima.
© Rosaria Privitera
• Qual è il posto dove riesci a trovare più idee?
In mezzo alla natura.

• Che cos'è per te il lusso?
Niente.

• Un film recente che ti è piaciuto? Perché?
Non vado spesso al cinema, non mi piacciono i luoghi chiusi, vedo dei DVD, l’ultimo è stato “La regola del silenzio” che ha messo in evidenza quanto sia difficile dimostrare la propria onestà, coerenza e vivere nella verità senza creare danni al prossimo.
© Rosaria Privitera
• L'ultimo libro letto?
L'inferno.

• Una colonna sonora delle tue giornate?
L'allegria.

• Un sito che tutti dovrebbero visitare?
La Sicilia.
© Rosaria Privitera
• Cosa o chi consideri sopravvalutato oggi?
Si sopravvaluta troppo la politica, il politico, le star, l’effimero.

• Un aneddoto indimenticabile legato alla tua attività?
Nessuno.

• Con chi ti piacerebbe lavorare?
Non saprei.
© Rosaria Privitera
• Cosa provi quando rivedi alcuni progetti di due o tre anni fa?
Divertimento e tenerezza.

• L'ultima cosa che fai prima di dormire?
Riordinare.

• Progetti per il futuro?
Vivo alla giornata. Fotografare l’alba boreale.
© Rosaria Privitera
• Link dove è possibile vedere quello che fai o dove seguirti?
www.simpaticamenteinsieme.blogspot.com
www.flickr.com/rosaria3
www.rosaria-lacucinadirosaria.blogspot.com
www.twitter.com/RSaggio

• Una frase o un pensiero per concludere l'intervista?
Ma perché proprio io?


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PROGETTO DI TESI | Pittogrammando, di Dalma Chiaretti

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Il Natale si avvicina e perché non inventarsi un nuovo gioco da fare nelle serate in compagnia degli amici? Bene, mescolate un po di allegria, della buona musica e indovinate i titoli delle canzoni! Si, proprio i titoli delle canzoni suggerite sotto forma di pittogramma.
E' il progetto di tesi di una studente dell'Accademia di Belle Arti dell'Aquila, Dalma Chiaretti con il corso di Metodologia della Progettazione. Laureatasi lo scorso 15 ottobre presentando e realizzando una scatola da gioco con 50 carte sulle quali è rappresentato il segno che darà l'indicazione per riconoscere il titolo della canzone.
La tesi di Dalma nasce dal suo grande interesse per la musica e per il design e da qui l'idea di giocare con i simboli. La scelta delle canzoni è atta fatta con l'accortezza di trovare quelle più riconosciute e verificarne l'esattezza del titolo ed effettuare un difficile pensiero mentale che la portasse all'astrazione per poter comunicare in modo più rapido possibile e in uno spazio limitato il concetto, proprio dei pittogrammi, una buona tecnica per procedere in questo senso è vagliare diverse ipotesi in una sorta di operazione di mappatura mentale.


Attraverso associazioni libere è andata ad identificare oggetti-simbolo che possono essere alla base del pittogramma. Associazioni che è andata prima tracciare a mano libera su un foglio per poi realizzarli al computer. Fondamentale nella costruzione di un pittogramma è la definizione di una griglia che serve come struttura di base per costruire tutti i segni. La griglia permette di standardizzare le forme del sistema di pittogrammi che si vanno a creare così da avere spessori e curve coerenti tra di loro.

 Dopo aver definito il disegno dei vari pittogrammi il passaggio successivo è quello di trovare un equilibrio ottico.
A questo punto non resta che illustrare il funzionamento del gioco e le sue componenti!

La scatola contiene:
  • Tabellone, da gioco è composto da diverse caselle, ognuna delle quali è contrassegnata da un colore che indica una categoria, tra queste caselle ce ne sono 8 gialle.
  • Carte: Le carte sono 50 e sono divise in 4 categorie:
  1. fucsia: Canzoni dal 2000 in poi
  2. verde: Canzoni degli anni ‘90
  3. rosso: Canzoni degli anni ‘80
  4. azzurro: Canzoni che vanno dagli anni ’50 a gli anni ‘70
  • Dadi: I dadi in dotazione sono 2
  • Pedine: Sono in dotazione 8 pedine colorate, raffiguranti note musicali
  • Fogli bianchi
  • Matite
  • Clessidra
Regole del gioco:
Si gioca in squadre, composte al massimo da tre persone, le quali sceglieranno un capogruppo.
Tutti i giocatori, all’inizio del gioco, gettano i 2 dadi, chi fa il numero maggiore comincia.
Egli mette la sua pedina sulla freccia rossa che indica il "Via" e lancia ancora i dadi per determinare lo spostamento da effettuare nelle caselle.
A seconda del colore in cui capiterà dovrà pescare la carta corrispondente, se capiterà su una casella gialla sarà lui/lei a scegliere la carta che preferisce e si comporterà a seconda del simbolo riportato sulla casella:

  • quando ci si trova sopra a questa casella si ha la possibilità di disegnare uno dei 3 indizi scritti dietro la carta che scegliamo;
  • quando ci si trova sopra a questa casella si ha la possibilità di accennare vocalmente la canzone indicata nella carta scelta;

  • quando ci si trova sopra si è costretti a lanciare i dadi e retrocedere tante caselle quante la somma
uscita dai dadi.
  • Il capogruppo prenderà una delle carte e la mostrerà alla squadra che dovrà indovinare nel tempo limite di una clessidra. Ogni gruppo ha a disposizione tre aiuti nell’arco di tutta la partita che potrà usare per leggere uno dei tre indizi scritti sul retro della carta.
  • Tutte le volte che una squadra non riesce ad indovinare la carta torna indietro nella posizione in cui era prima.
A questo punto non ci rimane che trovare il modo di metterlo in commercio?
Avete un'idea?


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INTERVISTA | Sam Punzina: “Il colore prende vie inaspettate”

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Penso che stiamo entrando in un periodo rivoluzionario di intimità tra scrittore e lettore. 
La scrittrice londinese Zadie Smith prospetta un periodo in cui finalmente il lettore si avvicinerà alle parole che legge. Alla domanda “perché scrivere?” risponde “per esprimere la realtà delle capacità umane”*. Credo che un pensiero valido per una produzione artistica sia riferibile a tutte le altre, e la capacità di ritrovare e proporre immagini semplici nonostante la formazione accademica di Sam Punzina dimostra questa rivoluzione culturale in atto. Un rapporto diretto che prevarica le indicazioni da parte di figure esterne al fare arte e che dà modo allo spettatore di essere libero di sentire davanti a ciò che vede. Per questo Sam Punzina non deve rinchiudere i suoi lavori in linee dogmatiche, per questo può essere libera e declinare ogni responsabilità sul movimento che i colori prendono sulle sue tele, come artista sa già che le sarà facile essere compresa. Sam Punzina crea un ponte che lega la manualità più semplice al pensiero anch’esso non elaborato, si avvicina al pubblico che pretende di decidere e si avvicina a ciò che più lo rappresenta. L’artista siciliana ha compreso che il rapporto tra il pubblico e il suo colore è fondamentale e sta vivendo un autunno caldo con la sua personale a Teramo dal 21 settembre: Un ponte sospeso su meraviglie di cartone, un’asta benefica che si è tenuta il 3 ottobre a Milano: Scusate il disturbo e ha iniziato novembre con Nü shu, una collettiva presso la galleria Europa di Camaiore in provincia di Lucca.
Nü shu in cinese significa “scrittura delle donne”, Sam Punzina, come la Smith, ci spiega perché è così importante “scrivere”.
Il gatto blu ne giardino caotico
• Eviti la linea, non rinchiudendo le tue creature che diventano macchie di gelatina colorata, come diffondi i tuoi colori e inventi il tuo mondo?
Evito qualsiasi disegno nella base dei miei dipinti, ho un’idea in mente e il colore fa il resto. Sono smalti colati lentamente o freneticamente a secondo dell’effetto che voglio ottenere. Lavoro sul pavimento circondata da più tele, sembra la scena di un omicidio alla Dexter [serie televisiva statunitense, N.d.R.] con tutto quel nylon, dopo aver deciso il colore di fondo, prendo delle bacchette di legno e lì comincia la magia. Del mio mondo surreale amo l’imprevedibilità fantasiosa, in ogni goccia puoi vederci di tutto... Alle volte il colore e il quadro stesso prendono delle vie inaspettate, questa libertà riesce a stupirmi e a sorprendermi piacevolmente, per questo non uso linee, limitazioni o contorni netti. Lavoro su più strati in modo che ogni colore sovrasti quello sotto e si crei uno spessore materico denso e lucido che una volta asciutto possa regalare un’esperienza, oltre che visiva, tattile.
Una notte niente male
• Nei tuoi quadri il panorama è irreale, legato al mondo dei cartoons, i colori sono sgargianti e privi di sfumature, quali sono i tuoi riferimenti artistici?
La vita e l’arte sono una continua ricerca, io leggo e osservo molto, la mia mente è sempre attiva in questo senso, non riesco a staccare nemmeno la notte e molti dei miei dipinti sono frutto dei miei strambi sogni.
Nei miei lavori ci sono richiami ai cartoons e alle fiabe, ma sono le mie fiabe, non mi piace attingere alla cultura popolare o rivisitare qualcosa di già fatto, il mio animo da bambina è sempre vivo, cerco sempre di ricordarmene mentre dipingo. Sono fortemente attratta dalla natura e dalla sua curiosa complessità, mi interessa unire nella stessa visione cose che altrimenti nella realtà non potrebbero convivere, come ad esempio le mie “meduse d’aria”.
I miei riferimenti artistici sono diversi: dal dripping di Jackson Pollock all'arte pop in generale per i suoi colori netti, sgargianti e vivaci, dall’arte nipponica e in particolare alla poetica SuperFlat di Takashi Murakami per la sua semplicità espressiva e per l’assenza di ogni riferimento prospettico alle opere di Jeff Koons per la loro giocosità visiva, a Peter Doig per la poeticità e la leggerezza misteriosa che aleggia nei suoi dipinti, e poi ovviamente i diversi artisti del Pop Surrealism, che amo e scopro giorno dopo giorno.
• I tuoi colori ricamano la tela e si differenziano molto dalla produzione pop surrealist che ormai ha preso piede in Italia e che occupa, con mostre collettive a cui hai preso parte, spazi istituzionali come il Castello di Montaldo di Torino e il museo Casa del Conte Verde a Rivoli. Quali aspetti di questa corrente artistica suscitano il tuo interesse?
Il mio lavoro si accosta al Pop Surrealism, ma non ne subisce un’influenza tale da ricalcarne tutti tratti salienti. È un mondo pop per i colori e surreale per i contenuti, ma a modo mio, forse è anche un po’ naif per certi versi. Mi piace definirle “poesie dell’anima”.
Non sono brava con le etichette e le classificazioni, ho capito che il mio lavoro faceva parte del Pop Surrealismo solo quando sono stata scelta per la mostra Stay Foolish a Rivoli. Ero incredula, stupita ed emozionatissima al tempo stesso, avevo gli occhi a cuoricino (proprio come succede nei cartoons) esporre con i mostri sacri: Mark Ryden, Joe Sorren, Camille Rose Garcia, Ray Caesar, Yosuke Ueno, Nicoletta Ceccoli, per me era una cosa inarrivabile, un onore, una gioia e una responsabilità enorme. Lì ho realizzato che la direzione che aveva preso la mia pittura era quella giusta.
Adoro perdermi dentro i dipinti pop surrealisti, ne apprezzo la meticolosità delle sfumature, le atmosfere apocalittiche e gotiche, i particolari nella composizione, i personaggi dagli occhioni grandi ed espressivi, sono tutti elementi che mi attirano molto e che mi piacerebbe fare miei, pur restando fedele allo stile che mi contraddistingue.
Penso che non si diventi artisti surreali, lo si è e basta, voglio restare fedele a quello che sento dentro di me e che voglio condividere con gli altri, è il mio linguaggio interiore, mi appartiene e lo dono agli altri per renderli partecipi, per commuoverli, per farli emozionare in qualche modo che altrimenti non saprei fare.
• Hai partecipato a molte collettive in Italia e all’estero, quale artista che ti ha affiancato ti ha più emozionato?
Ogni mostra, ogni luogo, ogni artista mi lascia qualcosa; qualcosa che mi tocca nel profondo, che mi stimola, mi entusiasma, non c'è un artista in particolare che mi ha emozionato più di un altro, ognuno di loro per me è speciale quanto prezioso. Però devo confessare che adoro Luciano Civettini, è una fonte di ispirazione, è respiro artistico allo stato puro, ma silenzio qualcuno potrebbe ingelosirsi.
Io tengo a ringraziare tutti loro per quello che mi hanno dato inconsapevolmente e per quello che continuano a dare creando le loro opere d’arte e condividendole con tutti. La condivisione è ciò che ci rende artisti, se facessimo arte solo per noi stessi sarebbe molto triste e riduttivo, questo mondo malato ha bisogno di sogni e viaggi surreali, credo che noi siamo qui per questo.
* Zadie Smith, Perché scrivere, Minimum Fax, Roma, 2011; pag. 33

Link di riferimento:www.piziarte.net


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PROTAGONISTA | Fiorella Bonifacio, una forma mentis a cui tutti possono avvicinarsi

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Fiorella Bonifacio nasce a Milano, vive a Marsala e si trasferisce prima a Firenze e poi a Roma.
Persona inquieta che ha sempre bisogno di vivere esperienze nuove. Ama il teatro “visto da dietro le quinte”. Lavora come scenografa.
Per Design with love scrive proprio di scenografia e allestimenti.
È ideatrice e art director, della manifestazione/performance creativa contro la tv spazzatura “Smonta il televisore e accendi un’idea”, per cui intervista anche numerosi artisti, giornalisti, etc. sul tema tv-tv spazzatura, tra cui Francesco Baccini, Oliviero Beha, Marco Baldini, Catena Fiorello, Jacopo Fo, Paola Maugeri, Andrea Purgatori, Vauro Senesi, Giorgio Tartaro.
Attualmente si occupa di progettazione e di design mentre continua a curare la Manifestazione (Smonta il televisore e accendi un'idea) che continua a crescere con grandi soddisfazioni.
Ama poco andare ai classici aperitivi e feste mondane. Dopo cinque minuti si annoia. Preferisce gli ambienti artisticamente stimolanti anche per i momenti di relax e per i suoi viaggi. 
Oggi l'intervista che vi propongo ci permette di conoscerla un po' meglio.

• La prima cosa a cui pensi appena sveglio?
Spesso durante la notte mi sveglio e trovo le soluzioni ai problemi che durante la giornata mi assillano. Al mattino, immediatamente, colazione per carburare.

• Di cosa hai una scorta?
Caffè, latte e muffin al cioccolato. La colazione è sacra.

• Una parola o un'espressione che ami? E una che odi?
Amo "La vita è l’arte dell’incontro" di Vinicius de Moraes. 
Odio "Digli che sei amica mia..." Generalmente detta quando chiedo a qualche conoscente come contattare una terza persona a me sconosciuta.

• Di cosa hai bisogno per essere felice?
Di scoprire e avvicinarmi a cose nuove, quindi di emozionarmi.
"Darwin, l'evoluzione?" - Concorso per giovani artisti bandito dal Banco del Mutuo soccorso - Velletri 2013.
• In questo mondo le persone si dividono in?
Attori e spettatori della vita: la propria e quella altrui. I secondi mi spaventano e li evito.

• Un politico, una popstar o un artista che ammiri particolarmente per vari motivi?
Al volo mi viene in mente Franco Battiato, che per brevissimo tempo è stato anche vicino alla politica. Era ed è rimasta una persona pura. Una persona che non mi ha mai deluso al di là dell’artista.

• Il luogo più importante di casa tua?
Tutta! Vivo in un piccolissimo “loft”, battezzato “cubo magico” da un caro amico. Amo gli spazi che si intersecano e che vivono contemporaneamente.

• Tre posti dove dove non sei mai stato e che vorresti vedere?
Città: Istanbul prima di tutto. Deserto del Sahara e Tibet per indicarne solo tre, ma tutti i luoghi lontani per natura e cultura, da me. Ciò che non conosco mi affascina.
Accessori in latta per la collezione "Io riciclo e mi differenzio" di Fiorella Bonifacio.
• Pensando all'Italia, qual è la prima cosa che ti viene in mente?
Cultura e risorse per risorgere.

• Quale città d'Italia ti attrae per il suo ambiente creativo?
Roma – Milano, punto.

• Cosa volevi fare a 14 anni?
Pilota d’aerei militari. Mi commuovevo vedendo Top Gun. Ero un maschiaccio da piccola. Ho anche seguito un corso di radiotelefonista per aeromobili, con battesimo dell’aria e volo pre-esame. L’attestato non l’ho mai utilizzato. Poi la vita porta su strade diverse e scegliere è un imperativo categorico.

• Cosa non indosseresti mai?
Abiti/scarpe/accessori marroni. Gioielli/accessori dorati.
Collaborazione alla scenografia de "Lo Schiaccianoci" con Andrè De La Roche di Mario Piazza.
• Che cos'è per te la creatività?
E’ una forma mentis a cui tutti possono avvicinarsi traendo dei benefici inimmaginabili nella vita.
Il pensiero creativo che, negli artisti è alla massima potenza, è la base per ogni rinnovamento. Per questo il top della creatività si ha soprattutto nei periodi di crisi. E’ molto importante se la si vede come un problem solving. E’ essa stessa, quando diventa Arte, un percorso, uno strumento, un input per altra creatività. Quindi ha un’importanza notevole per lo sviluppo del pensiero e della persona.

• Da cosa trai ispirazione per i tuoi progetti?
Dalla vita: dagli incontri che faccio, dalle esperienze che vivo.

• Che definizione hai per la fotografia?
Furto di un attimo, di una luce, di un sentimento che non si ripeterà, ma starà lì per sempre.
Fiorella Bonifacio e Jacopo Fo per "Smonta il televisore e accendi un'idea".
• Qual è il posto dove riesci a trovare più idee?
Non ho un posto fisso o finirei per non avere nuove idee. E’ la strada della vita, sono le persone che incontro, le emozioni che vivo, le gioie e i dolori.

• Che cos'è per te il lusso?
Fare di una passione, un mestiere.

• Un film recente che ti è piaciuto? Perché?
Voglio citare un film che è uscito nelle sale lo scorso anno. Non è recente quindi, ma è talmente intenso che rimane tra i pochi che elenco. “Quasi amici”. Visto in un periodo non bello della mia vita, che sicuramente ha influito a coglierne determinate sfumature, facendole diventare profondi punti di riflessione. La voglia di vivere e di ricominciare per l’ex galeotto e per il paraplegico, in modi differenti ma tangibili: la voglia di vincere nella vita. L’incontro tra due persone diverse per storia e per cultura e la voglia di scoprirsi, pur con le difficoltà nate dalle loro diversità, contro la superficialità di chi non vuole andare oltre l’apparenza, nella conoscenza.
Fiorella e gli Smontatori - Firenze 2011.
• L'ultimo libro letto?
“Le straordinarie avventure di Julio Jurenito” di Il'ja Grigor'evič Ėrenburg. Una satira che colpisce insieme il capitalismo occidentale e la rivoluzione bolscevica, dissacrando religioni e ideologie.

• Una colonna sonora delle tue giornate?
Variabile. Tendenzialmente mi sintonizzo sulle frequenze di una radio che spara rock. Quando ballo sulla sedia, sorrido in automatico e mi sorridono anche i neuroni.

• Un sito che tutti dovrebbero visitare? Perché?
www.smontailtelevisoreeaccendiunidea.com perché vi si trovano delle interviste notevoli sulla tv e tv spazzatura, perché viene raccontata con parole e immagini una manifestazione creativa contro la tv spazzatura; perché c’è da riflettere su questo argomento; perchè rivoluzionare ciò che ci viene indotto passivamente è l’inizio della propria Vita.
Fiorella e gli Smontatori - Roma 2013.
• Cosa o chi consideri sopravvalutato oggi?
Molta arte commerciale e artisti connessi. Frequento spesso i musei di arte (generalmente) contemporanea Capitolini e quando viaggio anche quelli che incontro, strada facendo. Sono poche le opere che muovono sensazioni. Non dovrebbe essere così. I motivi sono banali, noti e colpevoli di questo declino culturale.

• Un aneddoto indimenticabile legato alla tua attività?
L’ultimo, pochi giorni fa a Milano. Incontro una persona con cui avevo avuto una discussione durante una conferenza stampa a Roma. Era uno dei più grossi organizzatori di eventi romani che avevo visto solo in quella occasione. Dopo averlo salutato dandogli del “Lei”, mi chiede di passare al “tu” e mi lascia il biglietto da visita per contattarlo.

• Con chi ti piacerebbe lavorare?
Con alcuni degli artisti che ho intervistato per la manifestazione creativa contro la tv spazzatura: “Smonta il televisore e accendi un’idea”. Con i più “folli” di loro e con giovani “folli” come me.
Smontatori - Firenze 2011.
• Cosa provi quando rivedi alcuni progetti di due o tre anni fa?
Dipende. Alcuni non mi appartengono più e anche se mi hanno dato molta gioia li considero parte del passato. Altri si reincarnano e sono stimoli di nuove idee. La mia idea fissa è la crescita; sono eccessivamente autocritica e penso sempre che posso fare meglio.

• L'ultima cosa che fai prima di dormire?
Controllo la posta e rispondo alle mail.

• Progetti per il futuro?
Tanti ma non da svelare!
Smontatori - Roma 2013.
• Link dove è possibile vedere quello che fai o dove seguirti?
www.smontailtelevisoreeaccendiunidea.com
https://www.facebook.com/fiorella.bonifacio.7 (il più diretto)
www.twitter.com/fiorellaeffe (che uso a periodi)

• Una frase o un pensiero per concludere l'intervista?
“Misuro la qualità della vita in gradi di libertà”. E’ una mia frase che mi rispecchia totalmente.


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L’ULTIMA COSA | L’Harakiri come stile di morte - Emilio Salgari

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Non vide mai il fiume Gange, non visitò mai Nuova Delhi o Bombay (oggi Mumbai), non si recò mai in India, eppure descrisse l’India molto meglio di quanto riuscì a fare Pasolini che lì andò con gli amici Moravia e Dacia Maraini. Non uscì mai dall’Italia e riuscì a descrivere luoghi lontani ed esotici nel dettaglio aiutandosi solo con gli atlanti e le carte geografiche delle biblioteche torinesi.
Emilio Salgari soffrì di malinconie e depressione per tutta la vita, e dovette scrivere, tutta la vita, per proteggersi dai debiti. Sfruttato dai suoi editori, compose una miriade di romanzi ambientati in Oriente: tutta la saga di Sandokan, del Corsaro Nero, di Tremal Naik, e tanti altri ancora, che Ernesto Che Guevara divorò quando ancora era uno sconosciuto medico e non si interessava alle rivoluzioni sudamericane. Chissà che le sue malinconie non siano iniziate con la bocciatura al primo anno della Regia Scuola Tecnica nel 1875: voto 5 nello scritto di Letteratura Italiana, voto 5 in francese (e in futuro farà anche delle traduzioni da questa lingua), 5 in calligrafia e disegno, 5, infine, ma c’era da immaginarselo, in Matematica: fosse stato un bravo ragioniere non sarebbe morto in miseria elemosinando 300 Lire al suo editore.

Per chi soffre di questo male invisibile che va sotto il nome di depressione, non è facile trovare una cura. Il pensiero nasce autonomamente e, nella maggior parte dei casi, è un pensiero negativo e distruttivo, che annulla e angoscia l’individuo. L’alcol è, molto spesso, uno dei rifugi del depresso, ma, a causa delle sue dissestate finanze, Salgari non poteva permettersi alcolici di qualità. È per questo che aveva il vizio di ubriacarsi con uno scarso e semplice Marsala, accompagnato da centinaia di sigarette giornaliere. Di solito, il fumatore e l’alcolizzato sono personaggi incompresi o che si ritengono tali. Questo, in effetti, accadde a Salgari: durante la sua triste vita non fu mai preso in considerazione come uno scrittore serio, gli si preferì sempre il tronfio e borioso D’Annunzio o il lamentoso, querulo e piagnucoloso Pascoli (cocainomane e morfinomane il primo, alcolizzato e incestuoso il secondo).
Data la sua eterna insoddisfazione, non poteva che morire per sua stessa mano, ma in un modo molto strano: un giorno si recò su una collina nei pressi di Torino, con un coltello da cucina (secondo altri con un rasoio, ma questa ipotesi risulta più improbabile), e lì si suicidò tramite Harakiri. Insomma, quest’uomo era penetrato così a fondo nella cultura orientale, che per togliersi la vita optò per una eroica modalità giapponese: l’Harakiri o Seppuku, un’antica pratica dei samurai giapponesi divenuta poi celebre durante gli ultimi fatti della II Guerra Mondiale tra gli ufficiali dell’esercito del Sol Levante che, ormai sconfitti, rifiutarono di sventolare bandiera bianca davanti ai marines americani. Salgari, non pago del sangue che sgorgava dall’addome, per accelerare la morte, si tagliò la gola. 5 giorni prima scrisse al suo editore: 
Eg. Comm. E. Bemporad, Le scrivo in uno dei più tristi momenti della mia vita. Mia moglie, dopo un mese di pazzia, diventata furiosa, ho dovuto ricoverarla ieri sera al Manicomio di S. Giulio. Mi occorre di fare subito un deposito di Lire 300 che io non posseggo perché con le infermiere, durante questo lungo periodo sono stato pelato. Io la prego Comm. di mandarmi la terza rata di 600 lire ed io le prometto di rimetterle fra giorni altre cento cartelle. Mi lasci un momento di respiro per rimettermi da questa terribile scossa. Ella Comm. si investa del mio caso e mi mandi senza ritardo quanto Le ho chiesto non avendo che tre giorni di tempo per fare il deposito. Certo del favore, gradisca Comm. i miei più distinti saluti. 
Il Comm. 3 giorni dopo gli inviò le 300 lire, ma fu comunque troppo tardi.
Sua moglie, che con pazienza l’aveva aiutato nella redazione dei suoi romanzi e nel mantenimento economico dei figli e dei suoceri, la moglie alla quale inviava lettere firmandosi “Selvaggio Malese”, già da tempo ricoverata in un ospedale psichiatrico, morì dieci anni dopo, il 31 Settembre 1922, ma non all’interno del Regio Manicomio di Torino: ne era uscita il giorno prima. La figlia fu distrutta dalla tubercolosi, altri due figli suicidi ed uno per un incidente in moto. Che la malinconia o la depressione siano contagiose? Nessuno ancora l’ha studiato. Considerando che anche il padre di Salgari, Luigi, morì suicida, “lasciandosi cadere” da una finestra perché convinto di essere affetto da un male incurabile, la depressione sembra rivelarsi un disturbo a trasmissione familiare.


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GRANDI FOTOGRAFI | Herb Ritts, l'evanescenza degli elementi

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Trovo che oggi molto spesso ci si preoccupi troppo di avere la macchina giusta, la pellicola giusta, il giusto obiettivo e tutti gli effetti speciali che li accompagnano, per non parlare del computer. Si trascura la cosa essenziale, che è trovare il proprio stile, procedere a tentoni per riuscire a fare finalmente le cose come si sentono.

Herb Ritts nasce a Los Angeles il 13 agosto 1952. Comincia la sua carriera da fotografo alla fine degli anni settanta. Inizialmente scatta ritratta informali agli amici, molti dei quali lavorano nell’industria del cinema. Le foto che lo fanno conosce al grande pubblico sono i primi scatti realizzati a un semisconosciuto di nome Richard Gere e che in poco tempo vengono pubblicati in tutto il mondo.
Herb Ritts, Vestito con veli di Versace, 1990
Le punte dei tacchi non affondano sulla sabbia del deserto ma lasciano solo una lieve ombra sul terreno, è questa l’unica prova che abbiamo che lo scatto sia reale e non frutto della nostra immaginazione. Un gioco di bianco e nero che stilizza e disegna. Un vestito di Versace di cui si percepisce la morbidezza della seta e l’aria che avvolge ogni cosa, il terreno sabbioso in primo piano, una montagna che si perde lontana in un cielo senza nuvole, il vento che accompagna il vestito.

La forza e la ricerca di Herb Ritts è proprio questa, riuscire a fotografare qualcosa di impalpabile e fondamentale come l’atmosfera.


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IN VESPA | Peloponneso, Giorno 3

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C’è da stancarsi. C’è da stancare il fisico, l’anima e il cuore in un viaggio così. Ma di tutta questa stanchezza ne vale la pena, quando in una Leuca del Peloponneso vedi il sole che ti abbandona con le sue ultime luci e capisci che non è solo l’alba che ha le dita rosee, come diceva Omero.

Il sole che scende piano e si nasconde dietro quei monti freddi che tu hai appena attraversato, quei monti che nascondevano paesini dimenticati, dove neppure di benzina c’era l’ombra, dove capre riposavano a bordo strada e dove i guardrail non sono ancora arrivati, nonostante i precipizi a pochi centimetri dall’asfalto stradale.
E poi anche ad Olimpia, stamattina, c’era da sentirsi a casa, quando ho riconosciuto l’accento di tre leccesi seduti al mio stesso hotel. Saluti, foto, dove siete stati, quando ve ne andate, come va e come andrà, e non rimane che il ricordo, piacevole, di sorrisi conosciuti. Olimpia, che profuma d’antico, Andritsena, che profuma di 1000 e ha una fontana che sbuca dal tronco di un platano, Basse, col suo profumo alto e lontano. Tra l’una e l’altra, cime tortuose e ruscelli rumorosi, chiesette abbandonate e abbandonati i quadri al loro interno, spari in lontananza e silenzio in abbondanza, si, è da ripetere: qui tutto è bello e il bello è tutto.

Infine Kalamata, dagli occhi belli, dove un uomo scampato ad un tumore ha iniziato ad imparare l’inglese e l’italiano e a girare il mondo.
“Una faccia, una razza”, mi gridano dietro gli anziani a cui chiedo indicazioni e che riconoscono l’accento italiano, lo fanno ridendo, lo fanno con in mente i loro ricordi da bambini, di quando vedevano questi soldati italiani, negli anni 40, venuti qui in terre sconosciute per rendere felici due uomini infelici. Ma i nostri soldati, per fortuna, sono stati buoni con questo popolo, questo popolo mediterraneo che ora ci ricorda così, come fratelli, come gente con la stessa faccia, della stessa razza.
Mi viene da pensare ad Albert Einstein, che una volta arrivato negli Stati Uniti, completando i moduli per l’ingresso nel paese, si trovò di fronte alla voce “razza”, da compilare; scrisse: “Umana” aveva ragione ed è l’unica razza a cui tutti dovremmo appartenere. Mi ha emozionato e mi emoziona tuttora ogniqualvolta un anziano mi parla con le uniche parole che conosce d’italiano.


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ALLESTIMENTO | Duchamp re-made in Italy - Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Roma

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Mi sono sforzato di contraddire me stesso per evitare di fossilizzare il mio gusto. Marcel Duchamp.
Le opere di un artista che ha rappresentato una vera rivoluzione nella storia dell’arte. Oggi ritenuto uno degli artisti più influenti del XX secolo, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, per celebrarlo cinquanta anni dopo il suo viaggio in Italia e cento anni dopo la creazione del suo primo ready-made: “Ruota di bicicletta”.
"Route de biciclette" - Marcel Duchamp © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.
La mostra "Duchamp re-made in Italy" - curata da Stefano Cecchetto, Giovanna Coltelli e Marcella Cossu, con la sezione “artisti italiani” curata da Carla Subrizi - è stata realizzata grazie alle opere della collezione di Arturo Schwarz e racconta il breve passaggio di Duchamp in Italia, nel 1964 e 1965, e le influenze che ha scaturito su alcuni artisti italiani in contatto con lui. I due fuochi sono, quindi, la mostra a Milano presso la galleria Schwarz e l’esposizione di Roma, presso lo spazio Gavina di via Condotti, con l’allestimento di Carlo Scarpa.
"Fountain" - Marcel Duchamp © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.
Ad accogliere lo spettatore sono le sue opere ispirate al gioco degli scacchi e la valigia che utilizzava per i suoi viaggi in Italia, che lasciò nell’abitazione romana del suo allievo Gianfranco Baruchello.
“Dipingo per vivere e vivo per giocare a scacchi” dichiarava lo stesso Marcel Duchamp attratto dall’aspetto creativo del gioco che consente di inventare sempre nuovi schemi, sfuggendo alla schiavitù della monotonia. 
"Echiquier de poche" - Marcel Duchamp © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.
I pezzi degli scacchi sono molto frequenti nelle sue opere.
Una piccola sala, dedicata ai bambini, concede loro la possibilità di riprodurre alcune opere, giocando.
Il gioco è un’altra espressione mentale, intellettuale che ha dato qualcosa in più alla mia vita e alla mia personalità.
Sala per bambini © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.
La "Boîte en valise", il suo "museo portatile", creato dall’artista, con settanta pezzi riprodotti in miniatura, allʼinterno di una valigia Louis Vuitton e la successiva sala del cinema.

Ci si può accomodare su sedute bianche davanti ad uno schermo su cui vengono proiettati filmati che vedono Duchamp sia in veste di attore - in "Verifica inverta", girato da Baruchello e Grifi - che di regista in "Anèmic Cinèma", con la collaborazione di Man Ray e Marc Allégret, dove sono utilizzati dei dischi ottici, precursori dellʼoptical art, concetto ripreso più tardi nei Rotorelief.
“Gioconda in fronte con mosca al naso” - Luca Maria Patella © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.
Presenti molte opere degli artisti influenzati dalla cultura Duchampiana e che hanno operato all’interno del Dada, come, Sergio Dangelo, Gianfranco Baruchello, Enrico Baj, Man Ray, Luca Maria Patella – con la sua "Gioconda in fronte con mosca al naso".
Una sala mostra alcuni acquaforti su carta giapponese, tra cui "The Large Glass and the Related Works" vol. -1 e 2- con soggetti relativi alle opere "Grande Vetro" e "Etant donnè".
Acquaforte su carta giapponese per il "Grande Vetro” - Marcel Duchamp © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.
La mostra si conclude con le opere più note del suo ready-made.
Duchamp riuscì a rompere il predominio della pittura sulla scultura. La pittura non soddisfaceva le sue pretese di obiettività e scientificità dell’arte, per questo rimase "solo uno tra i tanti mezzi espressivi".
Il ready-made fu un nuovo tipo di creazione artistica indipendente. Utilizzava oggetti di uso domestico, prodotti in scala industriale e li trasformava in arte grazie al processo di selezione e presentazione. E’ netto il suo rifiuto verso l’artista visto come geniale creatore.
In questa sala trionfano: "Fresh widow", "Trèbuchet", "Porte boutelles", "Peigne", "Why Not Sneeze Rose Sèlavy?", "3 Stoppages-ètalon", "Route de bicyclette", "In Advance of the Broken Arm", "Porte-chapeau", "A Bruit secret", "Air de Paris", "…pliant… de voyage", "Fountain".
Qualsiasi oggetto può diventare arte se lo si presenta con i caratteristici attributi dell’arte.
La mostra è una vera e propria celebrazione di un artista avvicinatosi in Italia alla fine della sua carriera, per il suo interesse verso il Futurismo, in particolare verso la teoria futurista italiana che induceva a dimenticare il passato, vivendo nell’epoca attuale.
Ultima sala © 2013 Fiorella Bonifacio. Tutti i diritti riservati.
Le opere di un artista controverso, che hanno dato scandalo, adesso seducono gli spettatori che vivono ancora il fascino concettuale del Dada e del ready-made come qualcosa di veramente rivoluzionario.

Galleria nazionale d'arte moderna
Viale delle Belle Arti 131 00196 Roma
8 ottobre 2013 - 9 febbraio 2014
Aperto da martedì a domenica dalle 8:30 alle 19:30
www.gnam.beniculturali.it


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INTERIORA HORROR FESTIVAL | Letteratura Interiora 2013

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Concluso Interiora Horror Festival, non ci resta che mostrarvi quello che abbiamo catturato con le fotografie di Stefania e Fiorella. Non potendovi lasciare senza delle storie a tema, abbiamo selezionato 4 racconti che hanno partecipato a Letteratura Interiora 2013. Buona lettura!
© Stefania Belsito 2013 Roma
© Fiorella Bonifacio 2013 Roma

Le visceredi Silvia Romano

Non passò molto tempo prima che mi si iniziasse a contorcere lo stomaco.
Non so cosa ci avesse deposto le uova dentro, so solo che quando me ne accorsi era troppo tardi, e non era più possibile cacciarlo via.
Mi scherzavano: "È tutto il fuoco che hai ingoiato". Ma sapevo che non c'entrava niente, ad Alessio non succedeva. Alessio mangiava le spade. Era ectrodattilo e le sue mani assomigliavano a due gigantesche, ributtanti chele. Tenevo nascosto il dolore al padrone. Non era difficile: era raro vederlo. Tu però stavi sempre sul chi vive, perché sapevi che c’era. Non riuscivamo mai a guardargli la faccia. Portava un grosso cilindro e sotto era come se fosse vuoto, un cavernoso buco nero. Le sue lunghe braccia anguillose ricordavano degli scivolosi, striscianti tentacoli. Il padrone controllava quell'ammasso di turpi deformità che eravamo noi del freak show. Ogni tanto noi, o meglio quelli di noi che riuscivano ancora a ragionare, ci sedevamo intorno al tavolo e riflettevamo: Ma non vi sembra assurdo? Sospingiamo questo carrozzone per qualcuno senza volto, con cui non c'è possibilità di dialogo, di confronto. Proclama di proteggerci, ma se vuole ci può ammazzare. Non siamo stati ingaggiati per questo. Schiumavamo rabbia. Un'idea gorgogliante ribolliva nei ranghi: "Mettiamo una bomba!" ma il problema era che noi per primi, seduti al tavolo a pensare a come boicottare un sistema, c'eravamo dentro fino al collo; era quel sistema che ci faceva guadagnare il pane, che ci permetteva di andare avanti, miseri e meschini com'eravamo. Eravamo noi ad alimentarlo. Altrimenti, come avremmo fatto a comprare le necessità per sopravvivere? E le medicine per l’iniezione giornaliera di quell’aborto mostruoso del figlio di Leslie la nana? Eravamo costretti. Ci vedo trascinare la stessa baracca infame che ci sabota e che cerchiamo di sabotare. Le budella si contorcono. Rovescio la testa e un torrente di vomito giallastro mi inonda, mentre rutto un grosso tentacolo paonazzo dalla bocca.
© Fiorella Bonifacio 2013 Roma
© Stefania Belsito 2013 Roma

AriannadiDavide Schito

Mi chiamo Arianna e avevo quindici anni quando sono morta. Quanto è passato, non saprei dirlo. Il concetto di tempo non ha più molto significato per me. So solo che da allora sono bloccata qui, in questa casa che mi ha visto crescere, piangere e ridere. E che mi ha visto andar via solo per restarne nuovamente intrappolata.
Avevo tanti bei sogni, io. Ma non come la maggior parte delle ragazzine della mia età. Non mi importava diventare attrice, velina, ballerina. Volevo viaggiare, vedere con i miei occhi quel mondo che ammiravo sui libri e in televisione. Avrei voluto imparare tutte le lingue della Terra. Avrei voluto una famiglia tutta mia, quella che mi era stata negata da un’infanzia di violenze e percosse.
Mia madre è morta che io ero piccola. Me la ricordo appena. In casa non ci sono sue foto. Lui non ne ha mai volute tenere.
Lui.
All’inizio era buono. Mi chiamava la sua principessa. Mi sentivo importante.
Ma poi sono cresciuta, e lui è cambiato.
Il suo sguardo mi metteva i brividi.
Entrava in camera mia mentre dormivo, di notte. Quando sentivo la porta aprirsi iniziavo a tremare e mi raggomitolavo in un angolo. Ma lui mi trovava sempre.
Fino a quella notte.
Ho sentito i suoi passi pesanti avvicinarsi.
Mi sono nascosta dietro alla porta, nelle mani stringevo il coltello che avevo rubato dalla cucina. Appena entrato l’ho colpito alla schiena con tutta la forza di cui ero capace.
Ha urlato di dolore.
Ha urlato talmente forte che, per lo spavento, ho perso la presa sul coltello.
È stata la mia fine.
Mentre mi teneva immobilizzata sul letto e mi soffocava con il cuscino gridandomi "puttana!", riuscivo a pensare solo a mia madre. L’avrei rivista, finalmente.
Invece la mia sofferenza era appena iniziata.
© Fiorella Bonifacio 2013 Roma
© Stefania Belsito 2013 Roma

Io mi chiamodi Alessia e Michela Orlando, AMO

Mi chiamo Mario o Maria De Firpo? Mi guardo allo specchio. Non so se io sia il primo o l’altra. Non si tratta di scegliere. A ventisei anni il genere dovrebbe essere indubbio, per quanto la vita riservi sempre clamorose sorprese. No! Si tratta solo di superare il velo del vapore acqueo che non mi fa mettere a fuoco certe zone del mio corpo nudo.
Lo sguardo non penetra il maledetto diaframma. Avvolgente e bianco, mi lascia solo intravedere le mie forme, nel bagno, davanti allo specchio, dal buco della serratura.
È assurdo. Come potrei essere qui, al di qua della porta, e contemporaneamente dall’altra parte?
E perché me ne sto immobile, non busso, non chiamo, non respiro?
La sera precedente ero seduto a un tavolo e bevevo. Cosa? Sì, un cocktail schifoso alla vista del liquido bianco ma ottimo appena trangugiato. Non era molto alcoolico e quindi non può esser colpa di quei due o tre bicchieri bevuti in due ore, se adesso sono fuori di me. Qualcuno si ostinava in giri di Do patetici, del genere musica anni ’60. Non c’era nessuno che fumasse roba considerata poco trasgressiva e avevo mangiato a base di pesce con verdure arrostite, tipo cibo destinato ai malati.
In questo momento devo solo ricordare, giacché mi pare di essere un fotogramma drammatico in bianconero. È una condizione forse psicologicamente complessa, che richiederebbe l’intervento di uno psichiatra, magari anche un ricovero coatto obbligatorio e sperare di uscirne indenne.
No! Non ce la faccio. Tremo. Forse è dovuto a questo rumore di lama nel buio. E perché sento freddo sul collo? È mia, di Mario o di Maria non conta più, la testa tagliata e sanguinolente che cade dalla finestra? E perché ho caldo? Sudo, mentre la faccia si avvicina a una bocca incandescente, tra flutti di fiamme cocenti. E mi chiamo. E mi chiamo. E mi chiamo: Mario, Maria... Nulla. Nessuno risponde. Solo silenzio, c’è solo il mostro che sa inglobare ogni vibrazione. Sento puzza di carne bruciata, mentre chiudo gli occhi.
© Fiorella Bonifacio 2013 Roma
© Stefania Belsito 2013 Roma

Cioccolatinidi Eva Barros Campelli

Capiva perfettamente perché lo stesse facendo. Nella sua testa poteva ancora rivederla scendere quella scala scricchiolante, tutta un lamento mentre dolori immaginari la trattenevano per i fianchi e la colpivano alle cosce larghe e morbide, come due enormi pezzi di manzo stritolati per le caviglie e sistemati al rovescio, incollati a quel suo corpo di donnone corto ma robusto. E sempre con la mente poteva riguardarla ancora e ancora, mentre si sedeva al tavolo della cucina e prendeva a mangiare cioccolatini con gli occhi fissi davanti a sé, ipnotizzati alla maniera di un gatto che si volta verso il padrone per osservare in realtà qualcos’altro alle sue spalle. Se si concentrava per bene poteva addirittura sentire l’odore di sigaretta, quando se l’accendeva subito dopo essersi riempita lo stomaco di cioccolatini, e ne aspirava il fumo con quelle labbra scure, raggrinzite e tuttavia carnose nel modo in cui lo sono le labbra di certe signore abbronzate del sud. Perciò sì, capiva perfettamente perché lo stesse facendo. O, se per questo e più precisamente, perché stesse provando un incredibile gusto nel farlo. Avvertiva lo sguardo sofferente della sua vecchia madre su di sé, e a ogni schiaffo che dava sulla pelle floscia e unta delle guance di quest’ultima seguiva un paf! che gli procurava un prurito familiare nelle parti basse, proprio come quando era soltanto un ragazzino e l’unica cosa che gli era permesso di fare era chiudere gli occhi e concentrarsi abbastanza da scacciare via quel bisogno di strangolarla che tornava, e tornava e tornava. Capiva perfettamente perché stesse provando un incredibile gusto nel farlo, e nel farlo sorrideva. Quindi, a ogni schiaffo, lei strillava, impossibilitata ad alzarsi dalla poltrona verde dalla quale non riusciva più a tirarsi su a causa di tutto quel grasso accumulato negli anni. A ogni schiaffo lei strillava e lui sorrideva di più. La televisione accesa, il film che lei detestava e le voci urlanti degli attori e un altro paf!
© Fiorella Bonifacio 2013 Roma
© Stefania Belsito 2013 Roma
Si aggiudicano le due t-shirt per il giveaway di Interiora Cinzia Spano (t-shirt bianca) e Valeria Iodice (t-shirt nera).
Se siete curiosi e volete gustarvi tutte le immagini, potete trovarle sulla nostra pagina facebook.
Adesso non vi resta che aspettare la prossima edizione. Da paura!

Link di riferimento: www.interiora.it


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WHO ARE YOU | Chiara Dionigi, un modo per creare connessioni

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Opere di sicuro interessanti e attraenti, da cui è difficile staccare gli occhi dai vari dettagli presenti nelle composizioni.
L'intervista di oggi, per la rubrica Who are you, è dedicata a Chiara Dionigi
Il prossimo giovedì un'altra intervista sempre dal nostro gruppo flickr.
© Chiara Dionigi
• Chi sei?
Mi chiamo Chiara Dionigi, sono di Assisi ma lavoro a Perugia.
Non saprei come descrivere quello che faccio, diciamo che lavoro con le immagini. Fotografia, illustrazioni, ma soprattutto collage e assemblage. Ho studiato cinema e questo mi è servito molto per imparare a leggere le immagini e trasformarle col mio intervento.
Ho un’amore incondizionato verso la carta che è uno degli strumenti principali del mio lavoro. Ho la casa e lo studio sommersi da giornali, riviste, poster cinematografici giganti che poi ritaglio ed assemblo, scansiono e ricoloro creando nuove immagini.
Quando non sono a studio a disegnare/fotografare/ritagliare mi dedico alle mie bestiole, ho 7 gatti, 3 tartarughe che girano in giardino e un terranova di 70 kg che fa da mammo ai gattini.

• La prima cosa a cui pensi appena sveglio?
Il mondo sarebbe un posto migliore se ci fossero gli unicorni.

• Di cosa hai una scorta?
Dinosauri. Ne ho parecchi e spesso me li porto in giro.
© Chiara Dionigi
• Una parola o un'espressione che ami? E una che odi?
Amo la parola “procrastinazione”. Non ci sono parole che odio, dipende dai contesti. Le parole non sono mai odiose, a volte possono essere ingombranti o rumorose ma non ne odio nessuna.

• Di cosa hai bisogno per essere felice?
Vorrei maggiori superpoteri. Sarei molto felice allora.

• In questo mondo le persone si dividono in?
Accese o spente. Tutto il resto sono sfumature più o meno chiare.
© Chiara Dionigi
• Un politico, una popstar o un artista che ammiri particolarmente per vari motivi?
Non ammiro nessun politico. Il termine popstar mi fa venire la dermatite solo a leggerlo ma diciamo che ci sono degli artisti che stimo molto anche in campi lontani dal mio. Apprezzo molto Umberto Maria Giardini e gli Offlaga Disco Pax. Amo il lavoro dell’artista Ilaria Margutti e quello del mio compagno Francesco Capponi. Ammiro molto chi lavora onestamente e con rispetto.

• Il luogo più importante di casa tua?
Ho una casa molto piccola, sembra più una roulotte che una casa ma la amo molto. Passo la maggior parte del mio tempo in cucina e più precisamente seduta al tavolo. E’ il luogo in cui, oltre ovviamente a mangiare, guardo film, disegno, spesso lavoro e a volte mi ci addormento.

• Tre posti dove non sei mai stato e che vorresti vedere?
Slumberland, Il Paese delle Meraviglie e l’Isola che non c’è.
© Chiara Dionigi
• Pensando all'Italia, qual è la prima cosa che ti viene in mente?
Solo una parola: Rigurgito. Credo renda bene l’idea.

• Quale città d'Italia ti attrae per il suo ambiente creativo?
Amo la città in cui vivo, Perugia. E’ un luogo estremamente creativo dove però le possibilità di esprimersi sono minime. Altrimenti direi Bologna e Torino. Due posti per me magici.

• Cosa volevi fare a 14 anni?
Proprio a 14 anni forse volevo sparire dal mondo.
Probabilmente in quegli anni avevo la voglia di mettere su una rock band.
© Chiara Dionigi
• Cosa non indosseresti mai?
Non c’è nulla che non indosserei mai. Come ha scritto un mio saggio amico "indosso abiti improbabili con totale naturalezza".

• Che cos'è per te la creatività?
Non saprei darne una definizione in poche righe. Diciamo che è un modo per creare connessioni.

• Da cosa trai ispirazione per i tuoi progetti?
Dalla mia fantasia, dalle immagini che trovo in giro e dai sogni assurdi che faccio (e che ricordo nei minimi dettagli).
© Chiara Dionigi
• Che definizione hai per la fotografia?
Io lavoro con le immagini. La fotografia per me è un mezzo che utilizzo per arrivare a creare l’immagine finale. Non sono una fotografa anche se faccio foto. Non mi soffermo troppo sulla composizione o sulla luce quando fotografo. Non mi serve fare belle foto, mi serve creare delle belle immagini che poi posso rielaborare andando a creare quello che avevo in mente ma che prima "vedevo" solo io.

• Qual è il posto dove riesci a trovare più idee?
Non c’è un posto, semmai c’è un momento. Spesso le idee migliori mi vengono quando sono riposata, rilassata. Le idee escono quando sentono che sono pronta a riceverle. Nel caos non riesco a pensare.

• Che cos'è per te il lusso?
Lusso è una parola che non capisco.
Ma è una parola con cui si può giocare: Lusso, Busso, Basso, Masso, Matto.
© Chiara Dionigi
• Un film recente che ti è piaciuto? Perché?
"Musica per vecchi animali" di Stefano Benni. Surreale parecchio.

• L'ultimo libro letto?
La voce delle onde di Yukio Mishima. Un romanzo delicatissimo e poetico di uno degli autori che amo di più.

• Una colonna sonora delle tue giornate?
Di solito punk. Dai Current 93 a Lydia Lunch, passando per i Crass, Dead Kennedys e Stiff Little Fingers.
A volte quando lavoro amo ascoltare alcuni sound artist come Francisco Lopez o il duo portoghese @C.
© Chiara Dionigi
• Un sito che tutti dovrebbero visitare?
www.facebook.com/Pogovic Un circo fotografico composto da personaggi assurdi che fanno cose fotoniche con le foto!

• Cosa o chi consideri sopravvalutato oggi?
Tutti si sentono stocazzo. Forse considero sopravvalutato il genere umano. Dovremmo dare più spazio ai giocattoli e ai disegni. Anche ai dinosauri.

• Un aneddoto indimenticabile legato alla tua attività?
Una volta da piccola mio fratello per farmi una foto inciampò e la macchina fotografica volando atterrò sulla mia capoccia.
Per diverso tempo alla parola fotografia mi coprivo la testa urlando.
© Chiara Dionigi
• Con chi ti piacerebbe lavorare?
Se la devo sparare grossa allora faccio due nomi: Peter Greenaway e Michel Gondry.

• Cosa provi quando rivedi alcuni progetti di due o tre anni fa?
Mi piacciono molto per la loro natura acerba. C’è un affetto familiare con alcuni lavori, altri li trovo semplicemente brutti.

• L'ultima cosa che fai prima di dormire?
Leggo le news in rete oppure fumetti. L’ultima azione che compio è sempre la stessa: mi tolgo gli occhiali e li metto sul comodino. Loro dormono lì.
© Chiara Dionigi
• Progetti per il futuro?
Tanti e interessanti. Seguitemi e vedrete quello che combino.

• Link dove è possibile vedere quello che fai o dove seguirti?
www.chiaradionigi.tumblr.com/ per vedere i miei lavori e www.instagram.com/muumma per vedere pezzetti delle mie giornate.

• Una frase o un pensiero per concludere l'intervista?
“Sono una piccola ape furibonda” Alda Merini.


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INTERVISTA | Gio Pistone: “Le reazioni ai miei esseri sono molteplici”

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I mostri hanno invaso Roma, indicano la direzione al Quadraro, dove fanno parte del progetto M.U.Ro. di David Vecchiato, chiudono i cancelli del centro sociale Ex Snia e dall’8 novembre fino all’8 marzo saranno chiusi nei sotterranei della Casa dell’Architettura. La casa editrice Monte Università Parma le ha chiesto: puoi illustrare La solita storia di animali?, e lei coniugando la sua arte nel collettivo SerpreInSeno ha risposto assieme allo scrittore Christian Raimo. Nel suo percorso artistico Gio Pistone usa i colori assieme ad altri artisti, e da sola disegna mostri colorati che non sono respingenti e sanno essere divertenti ma soprattutto sono diversi da un’arte stereotipata e accademica, e sono diversi dalle proposte contemporanee legate a canoni dettati oltreoceano. Gio Pistone non cerca il bello né i facili consensi, il suo coraggio è palese nelle sue forme disformi e che, come tutte le maschere, urlano forza ma nascondono timore, come ci ha raccontato.

• Il tuo tratto è forte e totalmente surreale, ma i tuoi mostri non spaventano: hanno sempre gli occhi buoni. Li hai messi all’entrata di un tunnel, sulla prua di un peschereccio e sulle saracinesche di negozi: hanno una funzione apotropaica? Sono i buoni che allontanano i cattivi?
Che non spaventino non ne sono sicura!
Le reazioni ai miei esseri sono molteplici, questa di cui parli è una ma spesso ho incontrato persone che si spaventano o addirittura mi chiamano malata (pensa tu!) e questo mi ha sempre fatto ridere. Mi sono accorta dipingendo per strada che il giudizio che si ha sulle cose è strettamente relativo al proprio mondo che sembra una cosa ovvia ma non lo è.
Dal mio punto di vista i miei esseri hanno personalità aggressive perché cercano di spaventare prima di essere attaccate, meccanismo questo tipico dei deboli.
Come quelle mosche che si vestono da vespe o come alcuni cuccioli o come i granchi sugli scogli.
È il grido della Natura in pericolo.
Tra i vari tipi che ho disegnato ce ne sono alcuni anche apparentemente innocui o apparentemente solo fastidiosi, be’, io di quelli avrei paura!
Ciò che ciascuno vede come il male si nasconde dietro vesti spesso opposte alle classiche bocche dentate e minacciose.
Sì, possono avere una funzione apotropaica e allontanare i cattivi ma è pur vero che mi risulta difficile pensarlo anche perché non ho mai capito forse chi sono i buoni e i cattivi… È una questione sempre di punti di vista.
• Se dovessi mettere la maschera a qualcuno per proteggerlo e nasconderlo dalle brutture chi nasconderesti e come?
Mah! Certamente chi amo ma di solito non amo nascondere né nascondermi dalle brutture perché queste esistono e bisogna prima o poi guardarle bene in faccia. Direi che non si può proteggere nessuno dalle brutture purtroppo! Questa sarebbe una buona regola da impartire ad alcune madri.
• Sei stata scenografa per teatro e cinema, hai costruito giostre per bambini e poi hai iniziato a disegnare: sei partita dalle cose più difficili per arrivare a quelle più semplici. Un percorso diverso dal comune. A volte è più difficile affrontare ciò che ci riesce con più naturalezza?
Non sono partita dalle cose più difficili, sono partita dalle cose più facili per me in quel momento. In quel periodo volevo viaggiare, inventare, muovere il mio corpo il più possibile non avrei sopportato, cosa che faccio ora, di meditare seduta con un pennellino in mano.
Perciò ho viaggiato assieme al mio gruppo “La sindrome del topo” per costruire quello che ci veniva in mente inventando durante festival in giro per l’Europa, e poi ho lavoricchiato nel teatro come aiuto scenografa.
Nel frattempo disegnavo, non ho mai smesso, ma la differenza con ora è che mi bastavano schizzi su “librini” con pochi colori per darmi il senso di soddisfazione.
Ora invece che è diventato il mio lavoro ho bisogno di esprimere chi sono attraverso più piani quindi il mio segno ha acquistato particolari e colori al fine di comunicare meglio, spero, ciò che sono.


• Fai mille cose, quali i prossimi progetti che ti vedranno coinvolta?

Il progetto a cui tengo di più in questo periodo è Hic sunt leones.
È la pittura del piano -1 dell'Acquario Romano-Casa dell’Architettura di Roma che si chiama -1 Art Gallery (curatore Giorgio de Finis) che stiamo ultimando con l’amico e bravissimo collega Nicola Alessandrini.
Poi la mostra THIS IS ROME e infine mi mancano da dipingere alcuni muri che mi sono lasciata indietro per completare la -1, un lavoro molto grande che inaugura ora, l’8 novembre 2013, con grande nostra gioia.

Link di riferimento: www.giopistone.it


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DIARY 2.0 | Il tennis a Roma - 10

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Le braccia allungate verso il basso, le spalle un po’ abbassate e scapole e faccia un po’ in avanti, a mo' di bertuccia.
Quel peso che faceva tenere le spalle rigide e dritte, e alimentava la tensione, è svanito.
Finalmente rilassamento, sfinimento, non ce la faceva più.
Dopo 5 set e un tie break 25 a 23 la bertuccia è Tempra che ha battuto Mitico nel match più atteso agli interrionali Open Core dell’XI municipio.
Non era il match del secolo, non c’era RaiSport ma tutti i ragazzini e le ragazzine dei circoli erano andati per tifare Andrassi, lui è molto amato dai giovani.
Mitico è nato nel cuore del rione Garbatella, è figlio dei fondatori del primo circolo di tennis su terrazza panoramica.
Mitico ha i capelli più belli del rione.
E’ debole sulla battuta, ma fantastico nelle voleè sotto rete.
Grande fondista, non c’è palla che non sia in grado di raggiungere. Ha le sue pause, perché non riesce a ribattere una palla senza fare una domanda o un’affermazione al suo avversario, del tipo "Questa non la puoi prendere" "Rispondi di rovescio" e quest’atteggiamento comunicativo gli fa perdere concentrazione e rabbia e spesso anche le partite, anche se rimane il giocatore più forte tecnicamente e fisicamente.
Tempra la conoscono tutti; già, "la" conoscono, perché è donna.
In questo torneo inter-rionale non si distingue tra sessi dei giocatori, l’importante è l’appartenenza al municipio e il livello dei giocatori/trici.
E Tempra è veramente forte; sin da piccola strapazzava i suoi coetanei maschi. Per lei, quando gioca, si muove tutta la parte sud del municipio, Eur, Magliana, Laurentino, Ardeatino e tutta la parte dell’Appio Latino.
Del suo tifo fanno parte anche tutto quel gruppo di followers, facebookiani fans di questa splendida giocatrice che è anche ottima fotografa e grande internettara; la condividono sul Web 2.0 e la sostengono sui campi da tennis.
Tempra è di via Latina, e il suo cognome è del Padre Jugoslavo, come si definisce anacronisticamente ancora lui stesso.
Tempra ha gli occhi grandi e le labbra più belle del suo rione e le sue mise esercitano un forte richiamo fascinale per entrambi i sessi, adulti.
Ad ogni suo incontro è forte il rischio che la partita si trasformi da semplice evento sportivo a dibattito sull’arte, l’espressività, perché durante le partite non si fa mancare il tempo, tra una battuta e un punto sotto rete, di rispondere a gran voce alle salaci o argute invettive che il suo pubblico ama rivolgergli.
E’ una giocatrice che fa della concentrazione e determinazione la sua arma migliore, e queste sue qualità si esaltano quando incrocia la racchetta con un rappresentante dell’altro sesso, e ancora di più quando quel rappresentante del sesso forte è il Mitico.
L’XI come tutta Roma è grande e, nonostante l’ottimo lavoro dei rappresentanti politici per favorire il senso della comunità, le famiglie Mitico e Tempra condividevano soltanto la sede della circoscrizione e la soddisfazione di leggere dai risultati elettorali di ogni elezione, che il loro municipio risultava indiscutibilmente quello dove la sinistra, di tutti i tipi, raccoglieva le più alte adesioni di tutta Roma.
Mitico e Tempra non erano mai stati compagni di scuola, mai si erano incontrati ad una delle tante occasioni aggregative che il municipio proponeva.
E neppure lo sport, la forte passione che condividevano, li aveva avvicinati, perché è da 2 anni che il torneo inter-rionale di tennis si è trasformato in un sexopen. O Open core
Ognuno frequentava il suo circolo e faceva le sue partite e i suoi tornei.
Il padre e la madre di Tempra avevano una piccola casa editrice e gestivano la libreria di Via Appia, attività che non si incrociava mai con quelle della famiglia di Mitico.
Eppure chiunque li vedesse insieme, li sentisse parlare, o giocare uno contro l’altra aveva la sensazione che quei due, oltre ad essere assolutamente innamorati, si conoscessero da sempre.
Uno spettacolo sentire Mitico mentre gioca contro Tempra. Il suo atteggiamento discorsivo, diventa un dialogo continuo e costante, senza parlare di quando lei imbastisce quelle specie di tavole rotonde sulla bellezza, la volgarità o quello che è, col pubblico e Mitico, chiede sospensioni di tempo per intervenire, non vuole certo lasciare sola Chiara a gestire quell’ambaradam, e poi vuole dire la sua.
Fatto sta che questa finale della seconda edizione del torneo inter-rionale Open coreè stata fatta iniziare alle 9 di mattina per evitare che, come l’anno precedente, sempre con Mitico e Tempra finalisti, si dovessero usare tutti gli scuolabus del municipio per riportare a casa la gente che non sapeva come rincasare alle 4 del mattino, ora ufficiale dell’assegnazione della coppa.

Tempra e Mitico si sono incontrati per la prima volta esattamente un anno fa, sul campo da gioco.
Nelle fasi eliminatorie del torneo non avevano neanche avuto modo di incrociarsi, e quindi è stato all’inizio della finale che si sono visti per la prima volta nella loro vita.

E il pubblico tutto, fans di Mitico o di Tempra, dell’Appio Latino o della Garbatella, riempiono le tribune del centro sportivo Enrico Berlinguer per godere della bellezza di questo gioco allungato dall’amore.


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PROGETTO DI TESI | Swiidy, un brand impegnato socialmente

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Conservare lo spirito dell’infanzia dentro di sé per tutta la vita vuol dire conservare la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare. Bruno Munari.
Logo
Paola Di Ridolfi, una studente dell’Accademia di Belle Arti di L’Aquila ha sfidato l’era dei fast food americani e dei brand più famosi in fatto di prodotti di pasticceria industriali per rilanciare "l’home made".
L’idea di progetto si chiama "Swiidy" ed è il brand di una catena di pasticceria solo made in Italy. Si fonda principalmente sui concetti di genuinità, tradizione, rispetto ambientale e socializzazione. È rivolta soprattutto ad un target giovanile di età compresa fino ai 20 anni.
Composizione immagine coordinata
Composizione immagine coordinata
Idea, questa, affinché essi rivalutino i valori legati alla tradizione e ne garantiscano la sopravvivenza; per realizzare ciò si ipotizza un arredamento dei negozi che ricrei quel senso di comunità e permetta l’interazione tra i ragazzi sempre più isolati e legati ad un mondo virtuale.
I prodotti sono tutti realizzati a mano, in modo tale che in ogni location lo stesso prodotto non sarà mai identico all’altro poiché i sapori prenderanno le caratteristiche della loro città di provenienza. Tutto ciò è stato realizzato senza tralasciare il rispetto all’ambiente con l’utilizzo di materiali ecologici e riciclabili per il packaging.
Packaging
Per la scelta del naming si è pensato alla fusione del termine inglese "sweet" e del verbo "Candy"; il termine nato poi da questa fusione "sweedy"è stato italianizzato in "swiidy". Lo stile scelto per il logotipo è tondo e pieno e richiama il glassato dei prodotti grazie anche all’effetto dei riflessi, per quanto riguarda i colori invece sono stati scelti dei toni caldi che richiamano il cioccolato e la crema.
Applicazione t-shirt
Dettaglio composizione
Si è deciso inoltre, dato il suo target di riferimento, di comunicare tramite delle illustrazioni divertenti e colorate tutte realizzate a mano e con gli acquerelli; queste ultime sono state riproposte poi sui packaging dei prodotti disponibili. Il font è il "Rudiment" che ha un tratto simile a quello dell’acquerello e da ancora una volta quel senso di artigianalità e trasparenza. 
Business card
Timbrino
Tutta l’immagine coordinata ha la caratteristica di esprimere ciò che il marchio vuole comunicare, in modo che di fronte ad un qualsiasi elemento il cliente sia capace di individuarne la sua appartenenza.
Website
Anche questo progetto, come altri che di tanto in tanto pubblichiamo, fa parte di una tesi di laurea ed anche in questo caso auspichiamo che non rimanga sulla carta e che la genuinità e la tradizione del buon cibo torni sulle nostre tavole.


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MOSTRA | Italian fashion e japanese fashion

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Rimini presenta "80s 90s Facing Beauties. Italian Fashion and Japanese Fashion At A Glance", una mostra dedicata al mondo del fashion, che è stata inaugurata l’11 ottobre al Museo della Città– Ala Nuova.
La mostra, che sarà aperta al pubblico fino all’8 dicembre, è curata da Simona Segre Reinach, e propone un’attenta e accurata selezione di abiti ed accessori appartenenti alla collezione degli Archivi di Ricerca Mazzini di Massa Lombarda.
Un viaggio alla scoperta delle innovazioni estetiche, culturali e comunicative della moda italiana e giapponese negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso.
La mostra si concentra in modo particolare su il prêt-à-porter degli stilisti italiani tra cui Armani, Versace, Ferré, Moschino, Coveri, Romeo Gigli e la moda radicale degli stilisti giapponesi a Parigi, rappresentata da grandi nomi come Issey Miyake, Rei Kawakubo e Yohji Yamamoto.
Il visitatore viene condotto all’interno di cinque stanze, ciascuna focalizzata sui temi in cui i designer italiani e giapponesi sono stati innovativi.
Un percorso che permette di approfondire sia la moda italiana che la moda giapponese in un confronto tra culture e stili diversi.

Link di riferimento

Museo della città
via L. Tonini, 1
47921 Rimini

Orario: 
dal martedì al sabato 8.30-13.00 / 16.00-19.00
domenica e festivi 10.00-12.30 / 15.00-19.00
lunedì chiuso
Ingresso libero


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GRANDI FOTOGRAFI | Fotografie di “life” con Margaret Bourke-White

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Trovare qualcosa di nuovo, qualcosa che nessuno avrebbe potuto immaginare prima, qualcosa che solo tu puoi trovare perché oltre a essere un fotografo sei un essere umano un po’ speciale, capace di guardare in profondità dove altri tirerebbero dritto: questo era il mio modo di lavorare a Life.
Margaret Bourke-White nasce nel 1904 a New York. Poco più che ventenne scopre la sua vocazione. Si rende conto che scattare può essere divertente quanto redditizio e comincia a farne una professione. Parte così una splendida carriera grazie alla sua volontà di ferro e ad un talento fuori dal comune. Nel 1936 Margaret parteciperà ad un’impresa editoriale. Un rotocalco in cui alle fotografie verrà chiesto di vedere la vita, vedere il mondo: Life e firma subito la copertina del primo numero.
La prova più dura, quella che non riesce a vincere ma che invece la piega inesorabilmente, è il morbo di Parkinson. Margaret cerca di combatterlo con tutte le sue forze ma questa volta la malattia ha la meglio. Una lotta di vent’anni che si conclude nel 1971.
Margaret Bourke-White, Fila per il pane, Kentucky, 1937
Quella di Louisville fu una delle inondazioni più disastrose nella storia degli Stati Uniti. Margaret, ancora una volta per Life, si precipita sul posto e realizza un intenso reportage. Per la strada la gente faceva pazientemente la fila per ricevere i soccorsi mentre, alle loro spalle, il manifesto dell’Associazione Nazionale Industriali mostrava una famiglia completa di bambini sorridenti, cane e automobile, su cui campeggiava la scritta “Non esiste niente come il modo di vita americano”.

Non credete che quel cartellone pubblicitario, in un momento così tragico fosse un tantino fuori luogo?


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IN VESPA | Il Mediterraneo che unisce - Peloponneso, Giorno 4

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Tu lo conosci il Mediterraneo? È forse questo mare che ci rende così simili? Perché è vero, noi gente del mezzogiorno siamo così simili a questo popolo. Solo la lingua ci accomuna agli italiani sopra Roma, ma per il resto la mentalità, il modo di vivere, la voglia stessa di vivere, è così diversa in Italia, tra nord e sud. Allora ci ho pensato su e credo che sia proprio il Mediterraneo ad avvicinarci al popolo greco. La tranquillità, la pace, il silenzio e la pazienza che le sue onde leggere ispirano hanno plasmato gli animi di queste genti e le hanno placate, le hanno rese capaci di evadere dalla velocità e dallo stress della vita.
C’è una poesia che recita:
Prova a liberarti da quel male che hai nel cuore,
piuttosto che rischiare di morire dal dolore,
rilassati un momento, manda tutto a quel paese,
fermati un secondo o ne pagherai le spese,
di tutto questo stress, di correre e sgobbare,
senza un attimo, bellissimo, neppure per amare,
perché lì, solo lì, tu puoi trovare un senso,
amare senza fiato rende il battito più intenso.
Vuoi un consiglio?
Chi va troppo veloce, presto muore!
Vai più piano, resta calmo, goditi l’amore.
Durante un viaggio del genere impari a guardarti intorno in maniera diversa. Un viaggio aiuta a perfezionare la pazienza ed essere pazienti è ciò di cui si ha bisogno per pregustare e gustare la felicità. Avevo disperato bisogno d’acqua, l’ho trovata in abbondanza su un’acropoli che sfiora il paradiso, avevo disperato bisogno di mare calmo, l’ho trovato, fermo immobile, ai piedi di quella montagna, che accompagnava la morte del sole. Grazie a Tanas, un eroe per il suo eremitismo, lì da solo, ad aspettare di parlare di calcio e di scommesse con qualcuno, e un piccolo grazie all’uomo scalzo e borbottante nei pressi del silenzioso monastero di Vulcano.

Un viaggio, un viaggio fatto in questo modo, dove puoi gridare che nessuno ti sente, dove puoi spegnere la vespa in discesa e ascoltare solo la natura intorno a te, ecco, un viaggio così ti aiuta a comprendere tutti i segnali che il mondo ti invia, da una farfalla che ti sfreccia davanti mentre tu stai sfrecciando a 80 all’ora, al volo di un uccello che spicca alto il volo e ti indica la strada, fino a, perché no, anche il regalo marroncino di quell’uccello sull’unico specchietto che hai, e in pieno poi. E arrivi a piazzare la tua vespa dove Epaminonda piazzò i suoi baluardi, la parcheggi lì, dove i greci hanno scritto: antica Messene, due antichità a confronto che confrontano il loro fascino senza tempo.

A chi? A lei, grazie per il mio foulard grigio che mi protegge il viso dai raggi ed è così bello vederlo, svolazzante, nell’ombra che accompagna il mio viaggiare sotto il sole.


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BOOK | 10X10 An Italian Theory di Alessandro Enriquez

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Press Day S/S 2014 Milano © Sara Biondi
10X10 An Italian Theory, tra food e fashion, tra arte e cultura.
Un coffee table book firmato dal designer Alessandro Enriquez, del team stilistico del brand di moda Costume National.
Press Day S/S 2014 Milano © Sara Biondi
Un libro originale e molto cool che racconta la storia di dieci personalità del mondo della moda e dell’arte, raccolte intorno ad un tavolo.
Interviste a personaggi italiani come D’Amato, Anna dello Russo, Ornella Vanoni, Ennio Capasa, Arnaldo Pomodoro, Eleonora Abbagnato, Margherita Maccapani Missoni, Paola Navone, Rossella Jardini e Fabio Novembre.
Press Day S/S 2014 Milano © Sara Biondi
An Italian Thoryè un viaggio nell’Italia tra arte culinaria e consigli di bon-ton, tra confidenze e segreti di amici riuniti intorno ad una bella tavola apparecchiata.
Un percorso alla scoperta della creatività italiana, di stili e gusti, di preferenze e di ricordi attraverso "l’arte della tavola".
Una storia fatta di piccole storie che racconta la teoria sull'italianità di Alessandro Enriquez.
Press Day S/S 2014 Milano © Sara Biondi
An Italian Theory è anche una capsule collection nata in collaborazione con la designer Azzurra Gronchi.
Una sinergia tra due giovani creativi italiani che ha dato vita a una limited edition di accessori che raccontano l’italianità.
Tra porta iPad e caschi da scooter, zainetti e pochette, la collezione è un viaggio nelle stampe e nei colori che richiamano l’Italia.

Link di riferimento:www.azzurragronchi.com | www.anitaliantheory.com


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MOSTRA | Visitors and Natives, le scarpe del futuro a Vigevano

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Parlare di calzature in Italia significa parlare di uno dei settori trainanti dell'economia. La fiera Micam ogni anno porta a Milano migliaia di stranieri e non solo, per vedere le nuove proposte calzaturiere dei migliori brand e produttori italiani.

Le scarpe sono sinonimo di design, desiderio, studio e perfezione nel nostro territorio, e quindi chi meglio dell'Italia poteva ospitare una mostra ad esse dedicata. Una mostra che però guarda molto più in la, verso il futuro.

Dal 14 settembre, la città ducale di Vigevano ospita una rassegna dedicata ai giovani designers internazionali che propongono nuovi modelli, nuovi design, creatività allo stato puro.
Vigevano ha ospitato la prima industria italiana di scarpe e la prima Fiera Italiana delle Calzature, passato e futuro del mondo calzaturiero si intrecciano in questa città fino a dicembre per rendere omaggio a questo settore.

Organizzata dal Museo della Calzatura del Comune di Vigevano con il patrocinio di Assocalzaturifici e della Provincia di Pavia, Visitors and Natives mette in esposizione le creazioni di cinquanta giovani designers di talento, divisi tra “natives”, designers italiani, e “visitors” internazionali provenienti da vari paesi del mondo.

Noi siamo andati a fare un giro e abbiamo visto realmente delle meraviglie, voi cosa aspettate?


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