MondoPop era uno spazio colorato e brillante nel centro di Roma, lì ho conosciuto delle donne che si occupano di arte con competenza e che fanno della gentilezza il loro must: Sara Dal Zotto, Giorgia Mannucci e Irene Rinaldi riempivano uno spazio dedicato all’arte ibrida retto dall’attenzione femminile di Serena Melandri. La sede di via dei Greci ha chiuso ormai da qualche anno, ma il progetto MondoPop è portato avanti dalla cocuratrice Serena Melandri. Un’idea che nasce assieme a David “Diavù” Vecchiato, uno degli artisti più poliedrici del panorama artistico italiano, che come curatore ha fatto conoscere i nomi che hanno dato vita alla lowbrow art e incoraggiato i talenti italiani che vogliono a parlare a loro modo dell’arte che ci ha restituito la figura e la ricerca tecnica. Serena e David continuano il loro lavoro di promozione artistica e hanno ingrandito il giro: adesso partono da Roma e portano i loro progetti in tutt’Italia e non solo. Serena Melandri ci racconta MondoPop.
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Nel 2012 chiudeva la sede di MondoPop, progetto ideato e realizzato da te in collaborazione con David “Diavù” Vecchiato, ma MondoPop non ha mai chiuso in realtà si è aperto di più e ha continuato a realizzare progetti itineranti per l’intera stagione del 2013. Cosa cambia dall’avere una sede specifica a quella di voler diffondere la lowbrow art facendo delle riflessioni site-specific?
Se sei d’accordo io inizierei introducendo prima il perché ho aperto MondoPop. Io sono nata vicino Ravenna e vivo a Roma con David dal 1998. Da allora ho condiviso con lui contatti e progetti, l’ho assistito spesso nella realizzazione delle sue opere, nel preparare mostre e performance, e ho vissuto assieme a lui cosa significa vivere della propria arte. Ho fatto tesoro di questo mondo per anni mentre per lavoro mi occupavo di altro. Ho fatto di tutto, ho lavorato in due ristoranti, sia in cucina che in sala, ho gestito una sala da tè a Trastevere, sono stata assistente di due dentisti, uno a Roma e uno in Romagna, nel periodo in cui ci siamo trasferiti vicino Ravenna. E ho due figlie con David, che preferiamo educare personalmente, limitando il supporto di baby-sitter e nonni. Insomma, ho sempre avuto abbastanza da fare, ma appena mi era possibile andavo ad aiutare lui a dipingere murali o nel suo studio a smistare le email o a tagliare la carta per i suoi collage. Nel 2006 mi sono sentita pronta a intraprendere un progetto assieme e l’ho proposto a lui. Io ero abituata a lavorare col pubblico, anche se di carattere sarei una persona molto introversa (e, infatti, non sai che sforzo sia anche risponderti a quest’intervista!), e mi sembrava una buona idea dunque aprire una galleria shop che desse la possibilità a lui e a tanti suoi colleghi artisti da tutto il mondo, di cui molti nostri amici storici, di vendere direttamente le proprie opere e le proprie produzioni, mantenendo il controllo su tutto, dalla curatela agli allestimenti, fino alla scelta dei cataloghi o delle merchandising d’artista da vendere. Il mio desiderio era offrire alla portata di tutti quei nuovi immaginari artistici in cui io avevo vissuto per anni, e trasformare questo in un meccanismo economico diretto, che funzionasse per noi come per gli artisti. Con Ilaria Beltramme, che oltre ad essere una nostra cara amica è una nota scrittrice, mi sono occupata dell’avviamento, lasciando a David all’inizio solo la direzione artistica, per non gravare troppo sul suo lavoro personale. Poi Ilaria ci è stata rapita dalla scrittura, che per fortuna andava sempre meglio, e abbiamo avuto vari collaboratori.
Dal 2007 al 2012 ho organizzato e curato assieme a David una trentina di esposizioni nella sede di MondoPop a Roma, e molte altre in luoghi istituzionali di tante altre città d’Italia.
Con la chiusura di MondoPop in via dei Greci è venuto a mancare il dovere di organizzare periodicamente mostre perciò abbiamo potuto concentrare l’attenzione sulla qualità. Gli artisti con cui abbiamo sempre lavorato erano già il massimo in questo senso, ma ci siamo potuti permettere più fantasia riguardo agli spazi. Ad esempio abbiamo trasformato in baita innevata la Casa della Cultura per la mostra di Jana Brike, abbiamo portato Suggestivism in Europa, il progetto dell’artista e curatore statunitense Nathan Spoor che vede coinvolti grandi nomi del pop surrealismo, in un tour alla Casa dell’Architettura, al festival Urban Superstar V a Cosenza e, prossimamente, a Berlino in una galleria di nuova apertura con la quale stiamo lavorando per la stagione 2014-2015.
Di certo in una galleria tua sei libera di fare quello che ti pare senza doverti confrontare con istituzioni o direttori esterni, ma sviluppare mostre in spazi nuovi per noi è stato altrettanto stimolante. E ci ha lasciato tempo per goderci un po’ di più la vita privata.
Nel corso di questi anni la tua attività di curatrice si è cristallizzata con la tua permanenza a Roma, cosa cambieresti del modo di fare arte in questa città e come stai cercando di realizzare questo cambiamento?
Più che altro in questi anni ho imparato a mie spese come funziona il sistema dell’arte, soprattutto dietro le quinte, dove le mostre si organizzano tra email, fatture, pacchi, bolle doganali. La parte divertente della curatela è immaginare assieme una mostra, chiamare gli artisti, aspettare il momento che arriva il pacco, scartare e ammirare l’opera e poi appenderla, ma quello è anche il momento più breve. Il resto è tutta organizzazione tecnica, di cui di solito si occupano una o due persone. Poi c’è la vendita, che è un altro mondo ancora, con le sue regole, i suoi pregi e difetti, ma che richiede conoscenza di quell’artista e del suo lavoro e soprattutto onestà nel presentarlo. La tipica puzza sotto il naso da aspirante collezionista, quell’aurea di snobismo che si danno alcuni nel visitare le mostre e nel presenziare ai vernissages, è solo apparenza e non c’entra col senso vero di un’esposizione. È un atteggiamento che con David abbiamo sempre combattuto, facendo avvicinare alle gallerie d’arte molti giovanissimi e persone comuni che erano invece spaventate dall’atteggiamento di distanza che tante gallerie hanno perché sanno che fa piacere a quel tipo di collezionista snob.
Con questo intendo che penso di aver già contribuito col mio lavoro a cambiare qualcosa nel modo di fare arte in questa città. Certo che se potessi intervenire su questioni importanti come la destinazione dei fondi pubblici dedicati all’arte contemporanea, ne destinerei meno ai grandi musei e abbasserei gli stipendi a direttori e a presidenti star per incoraggiare di più le piccole realtà che sono quelle in cui si produce cultura viva ogni giorno. Invece le gallerie vengono massacrate perché si crede erroneamente che vendano chissà quante opere al mese e chissà a quali prezzi esorbitanti, magari pure truffando artisti e collezionisti. Il sistema fiscale italiano, al contrario di quello di altri Paesi europei, non tiene minimamente conto che in questi luoghi si fa cultura visiva contemporanea a spese proprie. Poi c’è la disorganizzazione della dogana italiana che non ti permette di lavorare in modo tranquillo e nei tempi stabiliti, i costi degli affitti che continuano a salire e, come se non bastasse, la crisi ha abbattuto il potere di acquisto degli appassionati del genere di arte che trattiamo noi, che sono giovani della borghesia, perché i veri signorotti ricchi, soprattutto i romani, non comprano facilmente street art, underground, pop surrealismo o arte che sale di valore in futuro, anzi molti vivono nel passato e preferiscono farsi fare una copia senza valore di Caravaggio piuttosto che scommettere su un artista che magari tra qualche anno vale dieci volte il prezzo di acquisto. Non è certo un caso se a Roma le gallerie stanno chiudendo a ritmo catastrofico.
Per questo bisogna avere una mentalità elastica, non fossilizzarsi sull’idea di galleria stabile se si vede che non va come deve andare, e questo abbiamo fatto io e David, che non abbiamo una mentalità da galleristi, lui da artista e io da appassionata, più da collezionista se vuoi. E l’assurdità è che da quando abbiamo chiuso e organizziamo mostre itineranti e altri progetti artistici che terminano in breve tempo vendiamo più opere di prima, molti ci contattano attraverso il sito, Facebook o via email per scoprire dove siamo e per venire a visitare il magazzino di MondoPop. Da quando abbiamo chiuso la sede a via dei Greci oltretutto riusciamo anche a collezionare opere, mentre prima investivamo tutti i nostri soldi là. Certo in questo vivere con Diavù mi favorisce in confronto ad altri collezionisti perché lui fa gli scambi con i suoi colleghi.
Il cambiamento su cui stiamo lavorando è rappresentato anche dal progetto M.U.Ro Museo Urban di Roma, un museo di urban art a cielo aperto su cui stiamo lavorando. Il Quadraro è il quartiere di Roma da dove parte questo progetto, è il quartiere che amiamo e dove viviamo e ci è sembrato legittimo condividere i nostri immaginari con gli altri cittadini. Perché se le opere puoi metterle in casa, fuori puoi far realizzare dei murales.
A novembre del 2013: Ron English è stato a Roma per realizzare un fantastico murale e su questo progetto Sky Arte ha mandato in onda un documentario dal 3 dicembre.
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Cosa ti fa più sorridere del mondo legato all’arte? Idiosincrasie e irriverenze che porti con te e di cui invece cerchi di liberarti?
Per mia fortuna io distinguo il lavoro dalla vita personale e quando è ora di staccare la spina la stacco del tutto. Sono romagnola e dalle mie parti funziona così: si lavora tanto, con impegno e passione, ma all’aperitivo e a cena è vietato parlare di lavoro. Nel mio caso questo aiuta anche a ripulire gli occhi e la mente, a liberarsi ogni sera dalle logiche che hai applicato di giorno nel tuo lavoro.
Quello che mi fa più sorridere è che il mondo dell’arte di cui ci occupiamo noi è talmente popolare, soprattutto su internet, che negli ultimi anni si è riempito di wannabe, di persone che, innamorate del pop surrealismo piuttosto che della street art, si sono improvvisate curatori, artisti o galleristi. Questo ha creato qualche problema perché è pieno di “gossippari”, di gente che mischia spesso “lavoro” e vita privata, che si parla male dietro ma che poi, in pubblico, non ha il coraggio delle proprie opinioni. Questo mi fa sorridere, ma non mi riguarda, io e David abbiamo sempre cercato di mantenere un rapporto limpido con tutti.
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Qual è stato l’artista che ti ha trasmesso di più la sua passione per il lavoro che fa, la cui opera regaleresti a una collega che sta iniziando un percorso analogo al tuo?
È una domanda a trabocchetto, è ovvio che sono di parte. Vivo tutti i giorni con David, educhiamo assieme le nostre bimbe di undici e tre anni, invento e condivido con lui mostre e progetti, litigo con lui sulle scelte per una mostra così come su chi deve buttare la spazzatura o prendere da scuola Sofia e Linda, e so bene come crea e come porta avanti un’idea, come realizza le sue opere, cosa prova prima di una performance o di una mostra, e so quanto è generoso nel coinvolgere i colleghi artisti, mettendosi spesso da parte lui per lasciare a loro lo spazio che ritiene meritino. È inevitabile quindi che la risposta sia Diavù!
Ci sono artisti che mi piacciono molto per come lavorano e di cui mi piace avere le opere attorno, come Ron English, Jana Brike, Jim Avignon, Ian Stevenson, Zelda Bomba e anche degli italiani Massimo Giacon, Aberto Corradi e Ale Giorgini.
Se poi dovessi dirti i perché al di là dell’amore personale: dei lavori di David mi piace la libertà espressiva che va oltre un unico segno riconoscibile e un unico mezzo o tecnica e l’intelligenza che vedo nelle opere, su cui secondo me lui ragiona anche troppo, ma che non è la tipica ironia dissacratoria che ricorda sempre qualcosa di già visto. Proprio per questo regalerei una sua opera a una collega agli inizi, per aprire gli occhi sul fare scelte al di là dello stile estetico di un artista, che spesso diventa una gabbia. E poi se regalo un Diavù risparmio perché a me non lo fa pagare!
Link di riferimento:
www.mondopop.it |
www.davidvecchiato.com |
www.muromuseum.com