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SHOPPING | Replay Ritual Cafè, una nuova esperienza sensoriale

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Inizia con una tazza di buon caffè e la tua shopping experience sarà esplosiva!
Il rinomato marchio di denim Replay presenta Replay Ritual Cafè, un nuovo ed originale progetto, realizzato in collaborazione con Caffè Diemme, realtà storica nel settore dei caffè tostati.
Fashion & Coffee: un connubio perfetto!
Nei principali store Replay, durante il vostro shopping sfrenato sarà possibile gustare anche una piacevole pausa caffè.
All’interno degli store vi sarà un Replay Ritual Cafè che prevede l’installazione di corner dedicati completi di macchine da caffè per migliorare la customer experience e creare un punto di contatto con il cliente, attraverso un piccolo gesto di cortesia.
Un rituale del caffè per rendere piacevole lo shopping del cliente, ma anche per coinvolgerlo in una nuova esperienza sensoriale.
Infatti, ad ogni denimè abbinato un caffè: sei diverse interpretazioni per offrire al cliente un’esperienza unica e coinvolgente.
Ad ogni aroma di caffè viene associato una tipologia di denim, permettendo così al cliente di sentirsi immerso nel mondo Replay a 360° ed identificando il gusto del caffè con il carattere del denim più adatto a lui.
Una tazza di caffè e un jeans che rispecchiano la tua personalità e il tuo style!
Il progetto ha l’obiettivo di rendere i flagship store Replay luoghi di aggregazione, piacevoli ed accoglienti dove il cliente può abbinare la sua ora di shopping a momenti di relax gustando un buon caffè.
Tra una tazzina di caffè e un nuovo look Replay, il tuo shopping diventa cool!


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WHO ARE YOU | Andrea Lazzarotto, libero sfogo alle emozioni

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Andrea Lazzarotto, vive a Pasiano di Pordenone dove è nato. Di professione grafico ma inizia come illustrartore. Ama dipingere, fotografare, ultimamente ama contaminare le cose che fa con testi e calligrafie, ama la montagna e il suo cane Theo.
© andrea lazzarotto
• La prima cosa a cui pensi appena sveglio?
C'è il sole?

• Di cosa hai una scorta?
Penne, pennini, pennelli, carte e cartoncini...

• Una parola o un'espressione che ami? E una che odi?
Sicuramente quella che odio è: "Te l'avevo detto io…" o simili.
Per quanto riguarda quelle che amo dipendono sempre dal momento.
© andrea lazzarotto
© andrea lazzarotto
• Di cosa hai bisogno per essere felice?
Non di grandi cose, la felicità è fatta di piccoli momenti.

• In questo mondo le persone si dividono in?
Non mi piace catalogare le persone in generi, diciamo che non sopporto gli arroganti che in un'eventuale classifica metterei molto in basso.

• Un politico, una popstar o un artista che ammiri particolarmente per vari motivi?
Di politici... lasciamo perdere, almeno quelli che ci stanno rappresentando in questo periodo. Di artisti ne ammiro parecchi, sono convinto che ci siano molte persone che hanno parecchio da insegnare e di cui ammirare le opere.
© andrea lazzarotto
• Il luogo più importante di casa tua?
La stanza in cui lavoro, dove trovo il mio computer e tutte le mie scorte delle sopracitate penne, pennarelli, colori, carte...

• Tre posti dove dove non sei mai stato e che vorresti vedere?
San Francisco per la metropoli, l'Irlanda per la natura, l'India per i colori.

• Pensando all'Italia, qual è la prima cosa che ti viene in mente?
Coraggio! Siamo comunque un popolo di gente in gamba.
© andrea lazzarotto
© andrea lazzarotto
• Quale città d'Italia ti attrae per il suo ambiente creativo?
Decisamente New York al momento.

• Cosa volevi fare a 14 anni?
Non me lo ricordo proprio, ma già allora i colori erano la mia passione.

• Cosa non indosseresti mai?
I pinocchietti da uomo che in estate vedi addosso a parecchi.... orrendi.
© andrea lazzarotto
• Che cos'è per te la creatività?
Dare libero sfogo alle proprie emozioni.

• Da cosa trai ispirazione per i tuoi progetti?
Dipende sempre dal momento, a volte l'ispirazione parte anche da un semplice dialogo tra amici.

• Che definizione hai per la fotografia?
Difficile, ne hanno già dette molte. Penso che il fascino della fotografia sia quello di bloccare un istante nel quale ognuno ritrova qualcosa di sé, delle proprie sensibilità.
© andrea lazzarotto
© andrea lazzarotto
• Qual è il posto dove riesci a trovare più idee?
No, decisamente non c'e' un posto particolare.

• Che cos'è per te il lusso?
La possibilità di alzarmi al mattino e decidere di fare quello che mi va.

• Un film recente che ti è piaciuto? Perché?
Venuto al Mondo. Il racconto di una guerra che stava a due passi da casa nostra e di cui forse non abbiamo voluto vederne le brutalità.
© andrea lazzarotto
• L'ultimo libro letto?
Mucho Mojo di Joe R. Lansdale.

• Una colonna sonora delle tue giornate?
Io sono un po' lunatico quindi le colonne sonore sono molte. Dalla bella musica ai discorsi degli amici.

• Un sito che tutti dovrebbero visitare?
Il mio account di Flickr!
© andrea lazzarotto
• Cosa o chi consideri sopravvalutato oggi?
Certi artisti concettuali privi di tecnica e di senso del bello.

• Un aneddoto indimenticabile legato alla tua attività?
Avevo appena finito di dipingere una tela. Mio nipote di pochi anni passando di li ha pensato bene di passarci delle pennelate di rosso. Fantastico!

• Con chi ti piacerebbe lavorare?
In questo momento vorrei lavorare con un calligrafo.
© andrea lazzarotto
• Cosa provi quando rivedi alcuni progetti di due o tre anni fa?
Sono sempre molto critico sulle cose che faccio. Ci vedo sempre dei difetti.

• L'ultima cosa che fai prima di dormire?
Chiedermi: "Tutto a posto?".

• Progetti per il futuro?
Continuare ad essere curioso.
© andrea lazzarotto
• Link dove è possibile vedere quello che fai o dove seguirti?
www.flickr.com/sabik

• Una frase o un pensiero per concludere l'intervista?
La vorrei rubare a Steve Jobs: "Stay hungry, stay foolish".
© andrea lazzarotto


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LIBRI ILLUSTRATI | Il Biomechanical Circus di Giorgio Finamore

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Venite signori! Venite nel circo oscuro! Sollevate il tendone delle vostre paure: tutto vi sembrerà più assurdo e paradossale della vostra quotidianità.
Vi invita il padrone del Biomechanical Circus, con il suo sguardo rigido e la sua aria poco rassicurante. Vi indica la direzione del vostro cammino e il libro si apre alla paura.
Benvenuti signori nel circo di Giorgio Finamore, vi faranno compagnia le sue creature ingabbiate dal 2012 nel libro edito da Logos edizioni. Strani esseri di una carne grigia che si confonde con parti meccaniche che non squarciano il corpo ma lo compongono come una naturale possibilità, loro vi accompagneranno tintinnando per attirare la vostra attenzione.
Tutto quello che emerge dalle oscure pagine è una visionaria normalità. Piano piano la storia si dipana senza parole, non servono. Il circo di Finamore è una vetrina di ciò in cui le nostre idiosincrasie potrebbero condurci. La paura scivola lungo il nostro corpo che vuole la perfezione e si insinua lievemente, non sono le immagini a spaventare ma la loro costruzione drammatica, il loro pathos realistico nonostante l’assurdità che l’illustratore usa per descriverle.
Finamore ha una formazione da scenografo, e nell’ergere i pali su cui spianare il tendone di Biomechanical Circus questa sua costruzione mentale si palesa: l’artista di Mestre tesse una storia in cui ogni personaggio è un protagonista che spiega se stesso e tutti gli altri suoi compagni di ventura, soprattutto spiega quell’ansia che vi accompagnerà mentre sfoglierete le pagine scure del suo libro. La paura di dover rinunciare a parte di quello che si è, di dover costruire una parte di sé, e mentre questo pensiero vi immobilizza davanti alla bravura dell’artista che ha reso palese un incubo, chi vi ha fatto entrare nel suo circo sa che siete già quelle stesse creature che vedete, che l’immagine che ha creato è solo un riflesso distorto di ciò che vi completa e che vi farà dannare più di quelle forme violate chiuse ormai nella vostra angoscia. Loro mostrano ciò che è il nostro orrore.
"L'uomo viene programmato a svolgere determinate funzioni in questa società, esibendosi in una quotidiana frustrante catena di montaggio". Finamore racconta così il modo di trasformare la sua arte, in cui i costumi diventano parti metalliche, protesi e componenti stesse della struttura dei protagonisti. L’inquietante padrone del circo, che nasconde nei suoi occhi la parte metallica della sua esistenza, e con quello sguardo duro e freddo diventa l’alter ego dell’illustratore ha aperto il suo mondo fantastico richiudendovi un’armonia che si appesantisce ed è mutata dalla battaglia quotidiana che ha lasciato cicatrici ricucite dalla necessità dell’esistenza.
Un mondo fragile quello di Finamore che riesce a prendere la forza da un disegno manuale e si riveste di un’elaborazione al computer che ridefinisce una nuova armonia con una freddezza lucida.
Giorgio Finamore, Biomechanical Circus, Logos Edizioni, pag. 80, € 18,00


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DESIGN | Tamat design, spazio al riciclo creativo

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Spazio al design. Spazio al riciclo creativo.
Torna a Roma, fino a novembre 2013, Tamat Design al Circolo Ricreativo Caracciolo.
Nuove ed originali opere in mostra nate dal riutilizzo di materiali di scarto.
Il materiale di riciclo si trasforma fino a diventare in pezzo di design unico ed irripetibile.
Tamat è un'officina giovane e frizzante nata dall'idea del giovane architetto romano Tommaso Amato che collabora con altri architetti e designer che abbracciano la stessa mission diventando così Tamat Design.
Un gruppo di giovani creativi con idee e progetti che prendono vita.
Tamat Design porta in mostra opere nate da un processo di decontestualizzazione, trasformazione: dai fusti di lamiera, dalle verghe in acciaio, dai coni spartitraffico... nascono oggetti d'arredo minimal, funzionali e divertenti.
E così un cono spartitraffico può diventare una lampada e un fusto di lamiera una sedia.
Tamat Design da vita ai materiali di scarto: li plasma e li trasforma creando così nuovi prodotti.
Nel segno del riciclo creativo, il design trova nuovi spazi e nuove strade.

Link di riferimento:www.tamatdesign.tumblr.com


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EVENTI | ComON Fashion Talents, la creatività dei talenti italiani

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L’Italia è il Paese della creatività, il paese della moda e dell’arte, nonché del design.
Uniti insieme questi settori sono un potenziale unico al mondo, effervescente ed esplosivo.
© Sara Biondi
Fashion, brand identity, exhibition design... uniti in un'unica mostra a Como che diventa così il cuore pulsante di una ricca e vivace creatività.
Lo Spazio Culturale Antonio Ratti accoglie la mostra con le creazioni realizzate durante il comON Fashion Talent a cui hanno partecipato le più importanti università di moda italiane: Politecnico di Milano e FIT New York, NABA Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, IED Istituto Europeo del Design di Milano, Istituto Carlo Secoli di Milano, Istituto Marangoni di Milano, Accademia Belle Arti Aldo Galli di Como.
© Sara Biondi
Inaugurata durante comON, la Settimana della Creatività di Como, la mostra è una culla di idee, fantasia, tendenze, visioni di una moda contemporanea con un’attenzione alla tradizionalità made in Italy.
La mostra è un viaggio tra nazioni, un percorso alla scoperta dell'identità di sei paesi che parteciperanno all’Expo 2015 di Milano.
© Sara Biondi
Ciascun istituto è stato abbinato ad una nazione diversa (USA, Giappone, India, Russia, Cina e Francia) e agli studenti è stato chiesto di realizzare due outfit, uno donna e uno uomo, e di creare un brand come in un vero atelier, facendosi influenzare dalla cultura, dai colori, dai sapori del Paese di riferimento.
© Sara Biondi
Il risultato è stato un quadro unico ed irripetibile dove colori, profumi, tessuti si sono incontrati per dare vita a un viaggio sensoriale nelle creazioni di giovani talenti.


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ARTE CONTEMPORANEA | One Torino #1 per Artissima a Torino

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Artissima 2013, Internazionale d’Arte Contemporanea, che si svolge al Lingotto Fiere di Torino, giunta alla sua ventesima edizione, propone un nuovo progetto espositivo annuale a Torino e in Piemonte.

Dal 7 novembre 2013 al 12 gennaio 2014 si svolgerà la prima edizione di One Torino, un’originale iniziativa ideata e prodotta da Artissima e realizzata in collaborazione con le maggiori istituzioni di arte contemporanea della città.
One Torino è una grande rassegna annuale dal respiro internazionale che coinvolge grandi nomi della scena mondiale.
Un evento che presenta cinque mostre collettive, curate da grandi nomi internazionali, che vede coinvolte importanti realtà della città di Torino: Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea, GAM - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea, Fondazione Merz, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e il settecentesco Palazzo Cavour.
One Torino apre alla città e al mondo con la sua particolare attenzione all’arte contemporanea mettendo in luce il lavoro di oltre 50 artisti provenienti da tutto il mondo.
Nomi già affermati e giovani talenti emergenti in un dialogo di stili e linguaggi diversi.
Torino si lancia con un nuovo esperimento espositivo che mette in evidenza i centri dell’arte presenti nella città dando vita a un progetto con una forte valenza internazionale.
Torino rafforza la sua posizione di capitale dell’arte contemporanea sperimentale e dinamica.
Una città che da spazio alla creatività e sperimenta nuovi ed innovativi linguaggi.

Link di riferimento:www.artissima.it


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L’ULTIMA COSA | I ribelli, Charles Baudelaire

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I ribelli non ammettono segreti nella propria vita. I ribelli non si nascondono, non hanno vergogna di rivelare i propri errori, le proprie mancanze, i propri peccati, se di peccati si può parlare in un mondo di colpevoli. I ribelli non hanno paura perché non sono interessati alla società, all’etica, per loro “la morale”, per riprendere un aforisma di un ribelle di cui scriverò, “è frutto della debolezza del cervello”. Così i ribelli si contrappongono, in questo mondo, a quelli che Dostoevskij definirebbe “idioti”, ossia i buoni, i buoni per eccellenza, che rispondono alla cattiveria con la bontà e la buona fede: il principe Myskin, protagonista del dostoevskiano L’idiotaè l’eccellente allegoria di questa categoria di personaggi.
Così, dei ribelli si sa tutto, e tutto, in effetti, sappiamo di due ribelli francesi che fecero parte della storia della letteratura del secondo ottocento: Charles Baudelaire e Arthur Rimbaud.
In questo articolo accennerò ad alcuni aneddoti e curiosità riguardanti il primo autore.
Dotato di spiccate capacità intellettuali, amante del lusso, dell’arte, della poesia, dedito ad uno stile di vita bohemien, dandy parigino per eccellenza, ispiratore del bello che lottava contro la società borghese dell’utile e del commercio, Baudelaire ebbe un rapporto di soffocante amore con la madre, la quale, a causa del suo stile di vita dissoluto, tutto proteso verso droghe e alcol, decise di imbarcarlo su una nave diretta ad Oriente. Baudelaire vi salì su quella nave, ma in India non arrivò mai. Decise infatti di fare ritorno in patria a metà del percorso, quando era ormai arrivato in Madagascar, isola che a quel tempo era colonia francese. Una volta tornato in Francia continuò la sua vita di sfarzo e dissolutezza, rimanendo ben presto senza soldi. Già nell’adolescenza frequentava prostitute che lo avrebbero portato a contrarre la sifilide.
Tra tutte le donne frequentate durante la sua vita, nei bordelli e fuori, una lo accompagnò per tutta la vita: Jeanne Duval, attrice creola, la sua “Venere Nera”, “amante fra le amanti”, che gli ispirò alcuni fra i suoi componimenti migliori contenuti nei I Fiori del Male, legata ad un’idea di pericolosa bellezza, sensualità e mistero, tutti temi centrali nella poesia baudelairiana. Ma cos’era la bellezza, per Baudelaire?
Sono bella, o mortali! Come un sogno di pietra,
e il mio seno, ove ognuno ha provato il dolore,
è fatto per ispirare ai poeti un amore
taciturno e immortale, uguale alla materia.
Sfinge incompresa, nell’azzurro m’assido;
unisco un cuor di neve al candore dei cigni;
odio il movimento che confonde i confini
e giammai non piango e giammai non rido.
I poeti, di fronte ai miei gesti grandiosi,
che sembro mutuare ai fieri monumenti,
consumeranno i giorni in studi faticosi;
chè ho, per incantare questi docili amanti,
specchi puri che fanno più bella ogni realtà:
gli occhi, i miei grandi occhi di eterne chiarità!
Lo scrive in sonetto, la forma poetica di perfezione pitagorica, l’unica in grado di ispirare le parole esatte e precise per descrivere non “una” bellezza, ma “la” bellezza. L’idea di bellezza per Baudelaire è anche descritta con queste parole dal poeta, nei suoi diari:
Qualcosa di ardente e di triste. Una testa seducente e bella di donna è una testa che fa sognare in modo confuso: voluttà e tristezza insieme, che comportano un’idea di malinconia, stanchezza e sazietà.
E cos’era, invece, l’amore, per il poeta? In un periodo di estrema depressione (tentò il suicidio due volte nella sua vita, ma mai gli riuscì: alcuni personaggi sono già morti mentre stanno ancora vivendo), mentre si trovava a Bruxelles nella speranza di trovare denaro con opere e conferenze, scrisse un intimo diario, colmo di aforismi, che conosciamo sotto il nome di Il mio cuore messo a nudo, e il nudo cuore di Baudelaire così descrive un rapporto amoroso:
L’amore è molto simile a una tortura o a una operazione chirurgica. Anche se i due amanti sono molto innamorati e colmi di reciproci desideri, uno dei due sarà sempre più calmo o meno invasato dell’altro. Quello, o quella, è l’operatore, ovvero il carnefice; l’altro, o l’altra, l’assoggettato, la vittima.” e nelle righe successive, l’amore diventa “il bisogno di uscire da se stessi. Sacrificarsi e prostituirsi. Così ogni amore è anche prostituzione.
Così, ogni amore, è anche prostituzione. In un periodo di malattia dell’animo, come fu il Decadentismo francese del quale Baudelaire fu il grande ispiratore, l’amore non può che perdere i suoi valori eterni e puri, per trasformarsi in sentimento volgare, effimero e triste, eppure: ispiratore e salvifico.



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GRANDI FOTOGRAFI | Nuove tecniche con Man Ray

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Di sicuro ci sarà sempre chi guarderà solo alla tecnica e si chiederà "come", mentre altri di natura più curiosa si chiederanno "perché".
Emmanuel Rdnitzky noto come Man Ray nasce a Filadelfia il 27 agosto 1890. Il suo talento per l’arte risale al 1904 quando inizia le prime lezioni di disegno tecnico. Nello stesso periodo Man frequenta anche la “291 Gallery” e successivamente in occasione della prima mostra personale presso la Daniel Gallery di New York inizia a fotografare per riprodurre i suoi quadri. Il successo della mostra lo incoraggia a staccarsi dalla pittura tradizionale e ad esplorare il mondo della fotografia. E da quel momento è diventato forse tra i fotografi moderni il più importante.
Man Ray, Natacha, 1930
Un nudo apparentemente classico se non fosse per quella linea scura che isola il corpo dal fondo e lo irradia di una luce mai vista. È l’effetto della "solarizzazione", tecnica folgorante, scoperta per caso da Man Ray e da Lee Miller nel 1929. Leggenda vuole che in una notte di lavoro in camera oscura, un topo avesse spaventato Lee e provocato, con un movimento inconsulto, l’accensione della luce in fase di stampa. L’immagine venne sviluppata comunque e sotto gli occhi dei due fotografi il miracolo di un nuovo sole.

Che dire, il topo giusto al momento giusto!


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IN VESPA | Se potessi spiegarlo a parole, non lo dipingerei, Peloponneso, Giorno 5

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Oggi non ti dico niente, non ti descrivo niente, perché mi chiederai tu? Perché devi venirci, devi venire tu stesso a vedere cosa c’è qui, ad ammirare coi tuoi occhi, che se te lo dico non ci credi cosa vedo, e non ci credo neppure io a volte. Andare su su fino al cielo e una volta arrivato lì scendere giù giù fino al mare, attraversare i tanti tornanti montuosi che mi separano dai paradisi marini nascosti agli occhi di tanti (e saranno nascosti anche ai tuoi, se non vieni subito qui). Queste sensazioni mi fanno pensare a quello scrittore, disse: ho visto in faccia la felicità, le ho gridato sopra tutta la vita che avevo dentro!

Con splendide parole qualcuno ha scritto: esistono eternità cancellate in un istante, esistono istanti che rimangono in eterno. Ecco: di tanti di questi istanti il mio viaggio è intriso. Il pittore americano Hopper diceva: se potessi spiegarlo a parole, non lo dipingerei. Così io, se avessi le parole per dirtelo, non lo fotograferei.
Che sorpresa trovare chiuso il palazzo di Nestore! Così mi son detto: non posso lasciare i miei ascoltatori senza niente da raccontargli. Allora mi son fatto coraggio e sono andato nella vicina laguna di Gialova, famosa per la sua fauna (ottimo luogo per il birdwatching) e per il suo mare piatto adatto agli sport acquatici. Ma ciò che mi ha affascinato maggiormente è stato il paleokastro (vecchio castello).

Arroccato lì sulla cima di un monte, rudere eterno, cannocchiale di navi turche pronte a saccheggiare queste terre povere allora come ora. E ho scoperto una cosa nuova: nei castelli, o meglio, da quel castello, non si sente il rumore del mare. Un attimo prima le onde mi arrivavano nitide alle orecchie e, appena messo il piede all’interno di quelle vecchie pietre abbandonate, non ho più sentito niente, solo il rumore di qualche cicala a ricordarmi che ero ancora vivo. Ora capisco perché Nestore è vissuto così a lungo!
E mi hanno fatto sorridere quei romani a cui ho chiesto: “Is it difficult?” “Not so much!” “Ch’ha detto?” “Ahahah, italiani? Di dove?” “Roma”. È bello sentire Roma!

PS: e oggi ho fatto l’amore col mare. Mi mancano ancora il vento e il sole, con la terra lo faccio ogni giorno.


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WHO ARE YOU | Janna Colella, realizzare le proprie idee

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Il mare e il surf come soggetti preferiti tra le foto di Janna Colella.
L'intervista di oggi, per la rubrica Who are you, è dedicata proprio a lei.
Fuji instax210 Natalia Resmini #2 - © Janna Colella
• Chi sei?
Mi chiamo Janna, vivo in Liguria precisamente a Rapallo, ho 35 anni e sono impiegata in un ufficio. Niente a che vedere con la creatività e la fotografia anche se i miei studi sono stati all'istituto d'arte di Chiavari con indirizzo architettura e arredamento. Mi sono avvicinata alla fotografia circa 8-9 anni fa da autodidatta con una compatta digitale. Nel tempo sono passata a due reflex di cui una full frame e poi già da diversi anni mi sono addentrata nel mondo analogico giocando con le Lomo, di cui comincio ad averne in gran quantità! Una LC-a+ che tra tutte è in assoluto la mia preferita, una Holga 120, due Diana, Lomo fisheye, tra l'altro vinta ad un concorso fotografico, la Sproket Rocket, una Lubitel U166 originale trovata ad un mercatino dell'antiquariato. Poi mi diverto anche con il mondo delle Polaroid e delle Fuji Instax. Tra gli ultimi acquisti c'è stata una Yashica mat 124 una biottica medio formato. I miei soggetti preferiti primo tra tutti è il mare, sia che sia piatto, mosso, con 2 metri d'onda con le sue moltitudini di colori e da qui è legato un altro mio soggetto ed è il surf. Mi piace fare foto ai concerti, fotografare quello che mi colpisce girando per la strada, in modo particolare perdendomi nei vicoli del centro storico di Genova.

• La prima cosa a cui pensi appena sveglio?
A una persona per me molto speciale.

• Di cosa hai una scorta?
Rullini di ogni tipo.
Andrea - © Janna Colella
• Una parola o un'espressione che ami? E una che odi?
Una parola che amo è "grazie" un po' troppo spesso inutilizzata! Un'espressione che amo è "vivi e lascia vivere" mentre non mi viene in mente una parola che odio in particolare però posso dire che odio la maleducazione.

• Di cosa hai bisogno per essere felice?
Del mio mare.

• In questo mondo le persone si dividono in?
Corrette e disoneste, anche se ho paura che le disoneste siano le maggiori.
Andrea - © Janna Colella
• Un politico, una popstar o un artista che ammiri particolarmente per vari motivi?
Politici preferisco non parlarne. Un'artista che amo particolarmente è Salvador Dalì. E sicuramente tutte le persone che lottano a testa alta nonostante le difficoltà della vita che possano essere problemi finanziari o problemi gravi di salute.

• Il luogo più importante di casa tua?
Il terrazzo anche se poi alla fine non ci sto molto ma è la parte più rilassante della casa.

• Tre posti dove dove non sei mai stato e che vorresti vedere?
Solo tre? Nuova Zelanda, Hawaii e Marocco.
Bogliasco - © Janna Colella
• Pensando all'Italia, qual è la prima cosa che ti viene in mente?
Purtroppo in questo momento mi viene da pensare solo alla tristezza anche se sarebbe da pensare alla bellezza, all'arte, alla creatività che purtroppo in questi ultimi anni viene penalizzata dall'ignoranza, dalla burocrazia, dalla politica. Un valore e un patrimonio immenso che tutto il mondo ci invia e noi lo stiamo distruggendo come un castello di carta.

• Quale città d'Italia ti attrae per il suo ambiente creativo?
Genova devo dire che ultimamente si sta muovendo molto dal punto di vista creativo, artistico. Già di per se la città con il suo centro storico meraviglioso è molto creativa, sopratutto per spunti fotografici.

• Cosa volevi fare a 14 anni?
Se devo essere sincera non mi ricordo!
Carlo - © Janna Colella
• Cosa non indosseresti mai?
Calze a rete.

• Che cos'è per te la creatività?
Il poter realizzare materialmente le proprie idee, passioni, amori che sia fotografia, pittura, scultura, moda, design, fumetti, scrittura.

• Da cosa trai ispirazione per i tuoi progetti?
Da tutto quello che mi circonda, dagli amici fotografi, da internet, dall'arte.
Genova - © Janna Colella
• Che definizione hai per la fotografia?
Non ho una mia definizione per la fotografia, posso dire che per me è una passione, è una parte di me, ma confesso che spesso ne sono anche in conflitto, mi capita spesso che per mesi e mesi non prendo in mano mai una macchina fotografia, quasi come se ne avessi un rifiuto. Alla fine non ne posso fare a meno.

• Qual è il posto dove riesci a trovare più idee?
Per la strada, io mi muovo a piedi o in treno e spesso proprio camminando mi vengono le idee per spunti fotografici.

• Che cos'è per te il lusso?
Ci potrebbero essere tante definizioni del lusso, la prima che mi viene in mente è quella di poter vivere la propria vita facendo quello che si è sempre sognato di fare, secondo le proprie aspirazioni, passioni e attitudini.
Joan - © Janna Colella
• Un film recente che ti è piaciuto? Perché?
Non mi viene in mente nessun film in particolare.

• L'ultimo libro letto?
"Camera oscura" di Simonetta Agnello Hornby, e adesso sto finendo "La mia fotografia" di Grazia Neri, che trovo veramente molto interessante, sopratutto ti fa capire quanto si sia evoluta velocemente la fotografia, come sia cambiato l'atteggiamento della gente nei confronti dei fotografi, della fotografia e del sistema in generale.

• Una colonna sonora delle tue giornate?
Uhhhh tantissime, in questo periodo ascolto gli MGMT, M83 e The Naked and Famous.
Long joel tudor - © Janna Colella
• Un sito che tutti dovrebbero visitare?
Non ne ho uno in particolare, però posso consigliare www.artlimited.net e il sito di una delle mie fotografe preferite www.jonisternbach.com

• Cosa o chi consideri sopravvalutato oggi?
Il voler apparire a tutti i costi.

• Un aneddoto indimenticabile legato alla tua attività?
Sinceramente nessuno in particolare di divertente o di eclatante, ma sicuramente la gente stupita, sopratutto ragazzi giovani, quando ti vedono usare una macchina fotografica analogica per non parlare poi se è una macchina a pozzetto, ti guardano come se provenissi da un altro pianeta.
Subsonica - © Janna Colella
• Con chi ti piacerebbe lavorare?
Se fosse ancora vivo mi piacerebbe lavorare con Leroy Grannis il padre della fotografia di surf, con Joni Sternbach, con tanti altri fotografi di surf e poi con Annie Leibovitz. Fotografi italiani con Giovanni Marrozzini, Pier Paolo Ferrari e Chico De Luigi, tra l'altro fotografi uno diversissimo dall'altro.

• Cosa provi quando rivedi alcuni progetti di due o tre anni fa?
Trovo quasi sempre un qualcosa che non va bene, che forse a distanza di tempo farei in modo diverso.

• L'ultima cosa che fai prima di dormire?
Leggo alcune pagine di un libro e se non crollo subito dal sonno mi addormento ascoltando musica con le cuffiette.
Yashica Jack Jaselli concerto Ge ilford 3200 - © Janna Colella
• Progetti per il futuro?
Imparare a sviluppare e stampare le foto in pellicola.

• Link dove è possibile vedere quello che fai o dove seguirti?
www.flickr.com/cjlomo/
www.jannacolellaphoto.blogspot.it
www.tumblr.com/blog/jannacolella

• Una frase o un pensiero per concludere l'intervista?
Di fotografare di più con il cuore invece di pensare solo ai pixel, ad obiettivi il più luminosi possibili, spesso si guarda più alle caratteristiche tecniche e meno all'impatto emotivo che può suscitare una fotografia e questo vale anche per me, c'è sempre un sacco da imparare.


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SCHELETRI D'AUTORE | Henri de Toulouse-Lautrec e le luci del Cabaret

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L'amore è quando il desiderio di essere desiderato ti fa stare così male che senti di poter morire.
Francia: Parigi, fine 1800.
L’impressionismo è agli sgoccioli, il mondo si muove sempre più velocemente alla ricerca dello spettacolo e del varietà; qui, in condizioni fisiche difficili, ma con grande spirito artistico e determinazione, muove i primi passi Henri de Toulouse-Lautrec destinato a diventare uno dei maggiori artisti di fine Ottocento nonché uno dei massimi esponenti dello spirito bohémien.
Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec-Montfa nasce nel 1864 ad Albi, nel castello medievale di famiglia, le cui origini nobili risalgono fino a Carlo Magno; costoro, risentono ancora dell’effetto dei matrimoni avvenuti tra consanguinei delle generazioni precedenti ed Henri, per questo, soffrì di diverse malattie genetiche.
In seguito al divorzio dei genitori, si trasferisce con la madre a Parigi dove frequenta il Lycéè Fontanes e conosce Maurice Joyant destinato a diventare suo fido amico nonché, alla morte del Nostro, suo biografo e fondatore, ad Albi, del museo a lui dedicato.
Nel 1878 un tragico evento lo segna profondamente: inciampa sul parquet della sua casa rompendosi il femore sinistro. L'anno dopo, mentre si trova a Barèges, cade in un fossato, riportando la rottura dell'altra gamba. Toulouse-Lautrec ha anche un'altra malattia, la picnodisostosi, che non gli permette di guarire dalle fratture che ha riportato: i suoi arti inferiori smettono così di crescere e la sua altezza in età adulta è di un metro e cinquantadue centimetri.
Fisicamente inadatto a svolgere le attività sportive e di caccia intraprese dagli uomini del suo ceto sociale, Henri si dedica, anima e corpo, alla pittura.
Nel 1881 continua a eseguire vari disegni in un taccuino che chiama "Cahier Zig Zags". I soggetti delle opere che realizza in questo periodo sono la sua famiglia, il mare, le battute di caccia, i cavalli.
Come Van Gogh e Gaugin anch’egli evade dalla società; però, mentre i primi due lo fanno ricercando il mondo e le origini nei contadini o nelle isole del Pacifico, Toulouse–Lautrec evade rifugiandosi in quel mondo colorato ed equivoco fatto di bordelli e locali di cabaret dove ha la possibilità di incontrare barboni e reietti, ubriachi e prostitute con i quali condivide i suoi giorni e che diventano protagonisti assoluti delle sue opere.
Sul finire degli anni Ottanta dell'Ottocento ha la possibilità di esporre con il gruppo di artisti "Les XX".
A questo periodo risale il trasferimento di Henri a Montmartre luogo che fu un'inesauribile fonte di ispirazione e in cui apre, nel 1886, un proprio atelier di pittore e dove, nel 1889, diventa ospite fisso del Moulin Rouge per il quale realizzò il "Ballo al Moulin Rouge", del 1892: è il periodo di massima notorietà per Henri.
Molti dei personaggi del cabaret, tra cui La Goulue, Yvette Guilbert, la ballerina Jane Avril, il proprietario di cabaret Aristide Bruant, Valentin le Désossé, furono resi immortali grazie ai quadri e ai manifesti di Lautrec.
Negli anni successivi viaggia molto toccando paesi quali Olanda, Spagna, Russia, Inghilterra e Belgio e la sua notorietà è tale che numerose riviste francesi si rivolgono a lui per la realizzazione di litografie e manifesti. Se dal punto di vista artistico ottiene grande successo, vive una difficile situazione a livello personale dettata dalla sua condizione fisica. In questi anni affoga i suoi dispiaceri nell'alcool e vive numerose crisi depressive fino ad essere ricoverato in una clinica psichiatrica.
Uscitone dopo qualche mese, riprende soprattutto a dipingere fino a quando, nel 1910 un colpo apoplettico gli procura una semiparalisi: muore all’età di trentasette anni.
La vita e le opere di questo grande artista sono state soggetto di molti film; tra questi ricordiamo il più recente: Moulin Rouge!, un film musical del 2001 del regista Baz Luhrmann.
La figura di Henri de Toulouse-Lautrec, racchiudibile nelle quattro parole chiave del suddetto lungometraggio Libertà - Bellezza - Verità – Amore, può essere la conferma alle parole di Fabrizio De Andrè nella celeberrima canzone “Un Giudice”:
[…] Passano gli anni i mesi, e se li conti anche i minuti. È triste trovarsi adulti senza essere cresciuti, la maldicenza insiste, batte la lingua sul tamburo, fino a dire che un nano è una carogna di sicuro, perché ha il cuore troppo, troppo vicino al buco del culo.


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INTERVISTA | Serena Melandri: “Sviluppare mostre in spazi nuovi è stimolante"

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MondoPop era uno spazio colorato e brillante nel centro di Roma, lì ho conosciuto delle donne che si occupano di arte con competenza e che fanno della gentilezza il loro must: Sara Dal Zotto, Giorgia Mannucci e Irene Rinaldi riempivano uno spazio dedicato all’arte ibrida retto dall’attenzione femminile di Serena Melandri. La sede di via dei Greci ha chiuso ormai da qualche anno, ma il progetto MondoPop è portato avanti dalla cocuratrice Serena Melandri. Un’idea che nasce assieme a David “Diavù” Vecchiato, uno degli artisti più poliedrici del panorama artistico italiano, che come curatore ha fatto conoscere i nomi che hanno dato vita alla lowbrow art e incoraggiato i talenti italiani che vogliono a parlare a loro modo dell’arte che ci ha restituito la figura e la ricerca tecnica. Serena e David continuano il loro lavoro di promozione artistica e hanno ingrandito il giro: adesso partono da Roma e portano i loro progetti in tutt’Italia e non solo. Serena Melandri ci racconta MondoPop.
Nel 2012 chiudeva la sede di MondoPop, progetto ideato e realizzato da te in collaborazione con David “Diavù” Vecchiato, ma MondoPop non ha mai chiuso in realtà si è aperto di più e  ha continuato a realizzare progetti itineranti per l’intera stagione del 2013. Cosa cambia dall’avere una sede specifica a quella di voler diffondere la lowbrow art facendo delle riflessioni site-specific?
Se sei d’accordo io inizierei introducendo prima il perché ho aperto MondoPop. Io sono nata vicino Ravenna e vivo a Roma con David dal 1998. Da allora ho condiviso con lui contatti e progetti, l’ho assistito spesso nella realizzazione delle sue opere, nel preparare mostre e performance, e ho vissuto assieme a lui cosa significa vivere della propria arte. Ho fatto tesoro di questo mondo per anni mentre per lavoro mi occupavo di altro. Ho fatto di tutto, ho lavorato in due ristoranti, sia in cucina che in sala, ho gestito una sala da tè a Trastevere, sono stata assistente di due dentisti, uno a Roma e uno in Romagna, nel periodo in cui ci siamo trasferiti vicino Ravenna. E ho due figlie con David, che preferiamo educare personalmente, limitando il supporto di baby-sitter e nonni. Insomma, ho sempre avuto abbastanza da fare, ma appena mi era possibile andavo ad aiutare lui a dipingere murali o nel suo studio a smistare le email o a tagliare la carta per i suoi collage. Nel 2006 mi sono sentita pronta a intraprendere un progetto assieme e l’ho proposto a lui. Io ero abituata a lavorare col pubblico, anche se di carattere sarei una persona molto introversa (e, infatti, non sai che sforzo sia anche risponderti a quest’intervista!), e mi sembrava una buona idea dunque aprire una galleria shop che desse la possibilità a lui e a tanti suoi colleghi artisti da tutto il mondo, di cui molti nostri amici storici, di vendere direttamente le proprie opere e le proprie produzioni, mantenendo il controllo su tutto, dalla curatela agli allestimenti, fino alla scelta dei cataloghi o delle merchandising d’artista da vendere. Il mio desiderio era offrire alla portata di tutti quei nuovi immaginari artistici in cui io avevo vissuto per anni, e trasformare questo in un meccanismo economico diretto, che funzionasse per noi come per gli artisti. Con Ilaria Beltramme, che oltre ad essere una nostra cara amica è una nota scrittrice, mi sono occupata dell’avviamento, lasciando a David all’inizio solo la direzione artistica, per non gravare troppo sul suo lavoro personale. Poi Ilaria ci è stata rapita dalla scrittura, che per fortuna andava sempre meglio, e abbiamo avuto vari collaboratori.
Dal 2007 al 2012 ho organizzato e curato assieme a David una trentina di esposizioni nella sede di MondoPop a Roma, e molte altre in luoghi istituzionali di tante altre città d’Italia.
Con la chiusura di MondoPop in via dei Greci è venuto a mancare il dovere di organizzare periodicamente mostre perciò abbiamo potuto concentrare l’attenzione sulla qualità. Gli artisti con cui abbiamo sempre lavorato erano già il massimo in questo senso, ma ci siamo potuti permettere più fantasia riguardo agli spazi. Ad esempio abbiamo trasformato in baita innevata la Casa della Cultura per la mostra di Jana Brike, abbiamo portato Suggestivism in Europa, il progetto dell’artista e curatore statunitense Nathan Spoor che vede coinvolti grandi nomi del pop surrealismo, in un tour alla Casa dell’Architettura, al festival Urban Superstar V a Cosenza e, prossimamente, a Berlino in una galleria di nuova apertura con la quale stiamo lavorando per la stagione 2014-2015.
Di certo in una galleria tua sei libera di fare quello che ti pare senza doverti confrontare con istituzioni o direttori esterni, ma sviluppare mostre in spazi nuovi per noi è stato altrettanto stimolante. E ci ha lasciato tempo per goderci un po’ di più la vita privata.
Nel corso di questi anni la tua attività di curatrice si è cristallizzata con la tua permanenza a Roma, cosa cambieresti del modo di fare arte in questa città e come stai cercando di realizzare questo cambiamento?
Più che altro in questi anni ho imparato a mie spese come funziona il sistema dell’arte, soprattutto dietro le quinte, dove le mostre si organizzano tra email, fatture, pacchi, bolle doganali. La parte divertente della curatela è immaginare assieme una mostra, chiamare gli artisti, aspettare il momento che arriva il pacco, scartare e ammirare l’opera e poi appenderla, ma quello è anche il momento più breve. Il resto è tutta organizzazione tecnica, di cui di solito si occupano una o due persone. Poi c’è la vendita, che è un altro mondo ancora, con le sue regole, i suoi pregi e difetti, ma che richiede conoscenza di quell’artista e del suo lavoro e soprattutto onestà nel presentarlo. La tipica puzza sotto il naso da aspirante collezionista, quell’aurea di snobismo che si danno alcuni nel visitare le mostre e nel presenziare ai vernissages, è solo apparenza e non c’entra col senso vero di un’esposizione. È un atteggiamento che con David abbiamo sempre combattuto, facendo avvicinare alle gallerie d’arte molti giovanissimi e persone comuni che erano invece spaventate dall’atteggiamento di distanza che tante gallerie hanno perché sanno che fa piacere a quel tipo di collezionista snob.
Con questo intendo che penso di aver già contribuito col mio lavoro a cambiare qualcosa nel modo di fare arte in questa città. Certo che se potessi intervenire su questioni importanti come la destinazione dei fondi pubblici dedicati all’arte contemporanea, ne destinerei meno ai grandi musei e abbasserei gli stipendi a direttori e a presidenti star per incoraggiare di più le piccole realtà che sono quelle in cui si produce cultura viva ogni giorno. Invece le gallerie vengono massacrate perché si crede erroneamente che vendano chissà quante opere al mese e chissà a quali prezzi esorbitanti, magari pure truffando artisti e collezionisti. Il sistema fiscale italiano, al contrario di quello di altri Paesi europei, non tiene minimamente conto che in questi luoghi si fa cultura visiva contemporanea a spese proprie. Poi c’è la disorganizzazione della dogana italiana che non ti permette di lavorare in modo tranquillo e nei tempi stabiliti, i costi degli affitti che continuano a salire e, come se non bastasse, la crisi ha abbattuto il potere di acquisto degli appassionati del genere di arte che trattiamo noi, che sono giovani della borghesia, perché i veri signorotti ricchi, soprattutto i romani, non comprano facilmente street art, underground, pop surrealismo o arte che sale di valore in futuro, anzi molti vivono nel passato e preferiscono farsi fare una copia senza valore di Caravaggio piuttosto che scommettere su un artista che magari tra qualche anno vale dieci volte il prezzo di acquisto. Non è certo un caso se a Roma le gallerie stanno chiudendo a ritmo catastrofico.
Per questo bisogna avere una mentalità elastica, non fossilizzarsi sull’idea di galleria stabile se si vede che non va come deve andare, e questo abbiamo fatto io e David, che non abbiamo una mentalità da galleristi, lui da artista e io da appassionata, più da collezionista se vuoi. E l’assurdità è che da quando abbiamo chiuso e organizziamo mostre itineranti e altri progetti artistici che terminano in breve tempo vendiamo più opere di prima, molti ci contattano attraverso il sito, Facebook o via email per scoprire dove siamo e per venire a visitare il magazzino di MondoPop. Da quando abbiamo chiuso la sede a via dei Greci oltretutto riusciamo anche a collezionare opere, mentre prima investivamo tutti i nostri soldi là. Certo in questo vivere con Diavù mi favorisce in confronto ad altri collezionisti perché lui fa gli scambi con i suoi colleghi.
Il cambiamento su cui stiamo lavorando è rappresentato anche dal progetto M.U.Ro Museo Urban di Roma, un museo di urban art a cielo aperto su cui stiamo lavorando. Il Quadraro è il quartiere di Roma da dove parte questo progetto, è il quartiere che amiamo e dove viviamo e ci è sembrato legittimo condividere i nostri immaginari con gli altri cittadini. Perché se le opere puoi metterle in casa, fuori puoi far realizzare dei murales.
A novembre del 2013: Ron English è stato a Roma per realizzare un fantastico murale e su questo progetto Sky Arte ha mandato in onda un documentario dal 3 dicembre.

Cosa ti fa più sorridere del mondo legato all’arte? Idiosincrasie e irriverenze che porti con te e di cui invece cerchi di liberarti?
Per mia fortuna io distinguo il lavoro dalla vita personale e quando è ora di staccare la spina la stacco del tutto. Sono romagnola e dalle mie parti funziona così: si lavora tanto, con impegno e passione, ma all’aperitivo e a cena è vietato parlare di lavoro. Nel mio caso questo aiuta anche a ripulire gli occhi e la mente, a liberarsi ogni sera dalle logiche che hai applicato di giorno nel tuo lavoro.
Quello che mi fa più sorridere è che il mondo dell’arte di cui ci occupiamo noi è talmente popolare, soprattutto su internet, che negli ultimi anni si è riempito di wannabe, di persone che, innamorate del pop surrealismo piuttosto che della street art, si sono improvvisate curatori, artisti o galleristi. Questo ha creato qualche problema perché è pieno di “gossippari”, di gente che mischia spesso “lavoro” e vita privata, che si parla male dietro ma che poi, in pubblico, non ha il coraggio delle proprie opinioni. Questo mi fa sorridere, ma non mi riguarda, io e David abbiamo sempre cercato di mantenere un rapporto limpido con tutti.

Qual è stato l’artista che ti ha trasmesso di più la sua passione per il lavoro che fa, la cui opera regaleresti a una collega che sta iniziando un percorso analogo al tuo?
È una domanda a trabocchetto, è ovvio che sono di parte. Vivo tutti i giorni con David, educhiamo assieme le nostre bimbe di undici e tre anni, invento e condivido con lui mostre e progetti, litigo con lui sulle scelte per una mostra così come su chi deve buttare la spazzatura o prendere da scuola Sofia e Linda, e so bene come crea e come porta avanti un’idea, come realizza le sue opere, cosa prova prima di una performance o di una mostra, e so quanto è generoso nel coinvolgere i colleghi artisti, mettendosi spesso da parte lui per lasciare a loro lo spazio che ritiene meritino. È inevitabile quindi che la risposta sia Diavù!
Ci sono artisti che mi piacciono molto per come lavorano e di cui mi piace avere le opere attorno, come Ron English, Jana Brike, Jim Avignon, Ian Stevenson, Zelda Bomba e anche degli italiani Massimo Giacon, Aberto Corradi e Ale Giorgini.
Se poi dovessi dirti i perché al di là dell’amore personale: dei lavori di David mi piace la libertà espressiva che va oltre un unico segno riconoscibile e un unico mezzo o tecnica e l’intelligenza che vedo nelle opere, su cui secondo me lui ragiona anche troppo, ma che non è la tipica ironia dissacratoria che ricorda sempre qualcosa di già visto. Proprio per questo regalerei una sua opera a una collega agli inizi, per aprire gli occhi sul fare scelte al di là dello stile estetico di un artista, che spesso diventa una gabbia. E poi se regalo un Diavù risparmio perché a me non lo fa pagare!

Link di riferimentowww.mondopop.it | www.davidvecchiato.com | www.muromuseum.com


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Dicembre: la magia del Natale in tre libri

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In questo mese non possiamo trascurare il Natale e non si può ignorare la tradizione.
Le letture saranno perciò indirizzate a riscoprire i simboli del Natale, lo spirito che dovrebbe essere in noi in questi giorni e il modo con cui l’hanno visto e lo raccontano due grandi autori: Charles Dickens e John Grisham, uno classico e uno moderno e dall’approccio più leggero.
Un canto di Natale, A Christmas Carol, di Charles Dickens, è una storia che tutti conosciamo, l’abbiamo vista al cinema interpretata da attori e anche da personaggi dei fumetti: indimenticabile Zio Paperone nei panni di uno Scrooge molto veritiero – chi meglio del papero più ricco del mondo, e anche più avaro, poteva impersonare la grettezza di questo personaggio? – e dall’anima solitaria.
La solitudine non è, però, l’unica compagna di Scrooge: durante la notte avrà la compagnia di tre spiriti (il Natale del passato, del presente e del futuro) e riceverà la visita, con ammonizione, del defunto socio e amico Jacob Marley. Queste visite lo porteranno a un cambiamento che lo renderà più umano e anche più sereno. Una favola per tutti, ma non un testo scialbo, d’altronde parliamo di Dickens, che può spingere a riflessioni che, durante queste "giornate di festa" non dobbiamo dimenticare.
Molto diversa sarà la lettura di Fuga dal Natale. Grisham ci appare in veste insolita: da narratore esperto di studi legali e intrighi, diventa un ironico affabulatore che ci saprà divertire.
La famiglia Krank, una coppia di mezza età abituata a vivere secondo convenzioni e abitudini inglobate nella comunità, decide – complice una missione umanitaria della figlia in Perù – di "saltare il Natale". L’anno prima, i coniugi Krank, hanno speso più di seimila dollari tra addobbi, regali e pranzi per amici e parenti. "Perché non investire la stessa somma per una vacanza ai Caraibi e allontanarsi da folli festeggiamenti?" chiede Luther alla moglie Nora. Lei all’inizio è perplessa poi si lascia convincere. Riusciranno a partire lasciando tutti stupefatti e anche irritati da questo cambio di programma? Si può davvero scappare dal Natale? Leggete e rilassatevi.
L’ultimo libro che consiglio è un tomo di 880 pagine: solo durante le feste, con qualche ora in più da dedicare ai libri, potete pensare di affrontarne la lettura. Il romanzo è Underworld di Don DeLillo e ne rimarrete affascinati. La storia si svolge nell’arco di cinquanta anni e coinvolge tanti personaggi, alcuni anche reali, e tutti i grossi eventi americani; una vera storia di epica contemporanea. Una palla da baseball che viaggia negli anni e che passa di mano in mano, fa da trait d’union lungo tutto il romanzo. E se è vero che ci sono alcune pagine che io taglierei, ce ne sono altre che rimarranno scolpite nella memoria. Una lettura che non dimenticherete.

Segnalo una mia lettura su Underworld per chi vuole approfondire: http://morenafanti.wordpress.com/2011/06/19/underworld-di-don-delillo-–-una-lettura-‘sospettosa’/


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GRANDI FOTOGRAFI | I profondi bianco/nero di Mario Giacomelli

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La fotografia è una cosa semplice. A condizione di avere qualcosa da dire.
Mario Giacomelli nasce in una famiglia molto povera. Questo problema non sembra preoccupargli, infatti capisce che l’essere nato povero, è stato per lui una condizione di partenza inevitabile ma anche un’occasione per conoscere la vita nelle sue sfaccettature più cupe, per poi riuscire sempre a estrapolare da essa una poesia, un entusiasmo per le cose più semplici. Alla fotografia arriva così, cercando un linguaggio in grado di raccontare i sogni e le visioni. Nei bianchi e nei neri ricerca le ossessioni della sua vita e gli da corpo.
Mario Giacomelli, Foto tratta dal fascicolo Scanno, 1957-1959
Tratta dalla serie dedicata a Scanno, questa è una delle più celebri fotografie dell’autore capace di conquistare anche il direttore del dipartimento di fotografia del MoMA, al punto di inserirla tra le immagini di Looking at Photographs. È un insieme di ombre scure su sfondo grigio, il tutto ruotante intorno al ragazzino in una cornice fatta di vecchiette tremanti che sembrano affrettarsi a proseguire ciò che stavano facendo.
L’atmosfera onirica induce nello spettatore una sorta di inquietudine e di speranza che il bambino si svegli presto dal sogno.


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GRANDI FOTOGRAFI | Un ricordo non voluto quello che accompagna Eddie Adams

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Le fotografie rappresentano l’arma più potente che esista al mondo. La gente crede in loro; ma le fotografie possono anche mentire, pur senza manipolazione. In fondo non sono che mezze verità. Eddie Adams nasce negli USA nel 1933. Durante la guerra in Vietnam, scatta la sua foto più famosa, grazie alla quale, nel 1969, vince il Pulitzer e il Wordl Press Photo. Nel 1977 realizza “The boat of

GRANDI FOTOGRAFI | Per Sergio Larrain é una questione di linee

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Una buona immagine nasce da uno stato di grazia. La grazia si manifesta quando ci si libera da convenzioni, libero come un bambino nella sua prima scoperta della realtà.Sergio Larrain nasce a Santiago del Cile nel 1931. Studia musica e nel 1949 inizia ad avvicinarsi al mondo della fotografia. Finita l’università inizia a viaggiare in Europa e in Medio Oriente. Nel 1958 si riavvicina allo studio

INTERVISTA | Antonella Casazza: "Ho un’anima adolescenziale"

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Le bambole di Antonella Casazza sono fragili bambine rinchiuse in una realtà che le circonda senza capirle e che divora la loro anima. Sono immerse in un sogno in cui l’autrice le incastra per non risvegliare se stessa. I luoghi che l’artista disegna sono nascosti negli occhi disarmati, spalancati di fronte a uno spettatore che non ha più tempo di fermarsi ad ascoltare le favole e cerca in

ALLESTIMENTO | Gabriele Basilico. Fotografie dalle collezioni del MAXXI. Roma

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“Coltivo l’illusione e la speranza che la disponibilità a osservare e ad accettare la condizione urbana contemporanea possa essere un buon punto di partenza per immaginare una città e un futuro migliori.” Gabriele Basilico Ritratto di Gabriele Basilico © Toni Thorimbert Un quadrato nel quadrato divide lo spazio della mostra, dedicata a Gabriele Basilico e al suo modo di pensare

DESIGN PER BAMBINI | Crumpled maps

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Crumpled map Avete in programma viaggi? Vi documentate online, ma detestate la poca poesia dei navigatori satellitari?Se amate le novità, ma anche le vecchie cartine di una volta, pronte a diventare vere reliquie di viaggio, con tanto di stropicciamento d’obbligo, niente paura; c’è chi pensa a voi. Pieghe comprese. Junior crumpled map London city junior, crumpled map Si chiama Palomar ed

INTERVISTA | Stefano De Longhi: “L’arte è un sistema di comunicazione evoluto”

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Una chiacchierata lunga in piena notte sugli artisti italiani proposti dalla rivista d’arte americana «Hi-Fructose» con un consiglio imperativo: “Devi vedere i lavori di Ericailcane, sono certo che ti piacerebbero”. E le sue belle parole sui colleghi più conosciuti: “Luciano Civettini è una persona gentilissima sempre disposta a spiegarti le sue tecniche e a insegnarti qualcosa”. L’ammirazione e
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